A due settimane dall'inizio delle convention, Donald Trump ha un problema: trovare persone rilevanti disposte a parlare alla sua convention. I lavori dureranno quattro giorni, c'è un fitto calendario da riempire che va oltre gli appetibili slot in prima serata: Politico ha contattato 50 tra governatori, senatori e deputati del Partito Repubblicano e ha riscontrato un interesse, come dire, piuttosto debole, davanti all'idea di associare se stessi alla convention che proclamerà ufficialmente Donald Trump candidato del partito. Tra i Democratici le cose dovrebbero filare molto più lisce, e non solo per l'all-star-team che possono utilizzare – Barack e Michelle Obama, Elizabeth Warren, Bernie Sanders, Bill Clinton, Joe Biden, per dirne alcuni. Entrambi i partiti però sono preoccupati che ci possano essere scontri e disordini durante le molte manifestazioni organizzate in concomitanza con la convention. Di questo parlerò meglio nella terza puntata del podcast sulle elezioni, che uscirà prima della mia partenza per gli Stati Uniti: se volete gli arretrati, qui trovate le prime due puntate.
Ora un po' di altri aggiornamenti da questa matta campagna elettorale.
Lavori in corso alla Quicken Loans Arena di Cleveland, dove si terrà la convention dei Repubblicani. Il palazzetto dei Cavs di LeBron James, esatto.
Bill Clinton ha fatto un guaio
E bisogna essere buoni a chiamarlo solo guaio: forse è meglio dire che ha fatto una cazzata colossale. Se siete iscritti alla newsletter da un po' sapete che da mesi l'FBI sta indagando sull'uso che Hillary Clinton ha fatto del suo indirizzo di posta elettronica privato durante il suo mandato da segretario di stato. Per adesso è solo un'indagine conoscitiva per capire se Clinton, usando un indirizzo privato per scopi lavorativi, ha messo a rischio informazioni riservate e importanti per la sicurezza nazionale. A un certo punto l'FBI andrà dal dipartimento di Giustizia e dirà: sulla base di quello che abbiamo riscontrato, consigliamo di archiviare tutto. Oppure: consigliamo di mettere sotto indagine Clinton. Come potete immaginare è una questione MOLTO controversa, perché un candidato alla presidenza degli Stati Uniti sotto indagine non andrebbe lontano. E cosa ha fatto Bill Clinton allora questa settimana? Ha incontrato per mezz'ora su un aereo privato Loretta Lynch, cioè la capa del dipartimento di Giustizia americano.
Sia Clinton che Lynch erano di passaggio nella stessa città per altri impegni e si sono visti in aeroporto. Entrambi dicono che hanno fatto quattro chiacchiere informali, che si sono scambiati aggiornamenti familiari e storie sui loro nipoti. Non ci sono modi per sapere se è vero o no. Diciamo che, in ogni caso, per fare una cosa del genere bisogna essere un po' scemi. Che questo incontro sia stato organizzato allo scopo di discutere il caso delle email o di sveglie e pannolini, evidentemente andava quantomeno rinviato: nessuno dei due – che siano in buona fede o no – ha interesse a dare argomenti a chi vorrà sostenere che Hillary Clinton sia stata trattata da privilegiata dall'FBI e dall'amministrazione Obama. Forse sarebbe successo comunque, ma a questo punto è inevitabile: se l'FBI e Lynch decideranno di non mettere Clinton sotto indagine, che è da tempo lo scenario più probabile, Trump e i Repubblicani diranno che è stato perché i Clinton sono potenti e sono protetti dal governo. Good job everyone.
Lynch si è resa conto del guaio dopo qualche ora, tanto che ha organizzato una conferenza stampa per dire che col senno di poi non incontrerebbe di nuovo Bill Clinton e annunciare che non prenderà decisioni sulla faccenda delle email: si limiterà a seguire le indicazioni dell'FBI e ratificare la loro proposta, quando l'indagine sarà conclusa. Che è un po' come Ignazio Marino che dice "non ho rubato niente ma rimborso tutto". La ciliegina sulla torta? Sono saltate fuori nelle caselle di posta dei collaboratori di Clinton altre email di lavoro inviate da lei ma non consegnate all'FBI. Cose cancellate che non dovevano essere cancellate, insomma.

Eh.
E dire che questa settimana era arrivata una buona notizia per Hillary da un'altra situazione delicata, la commissione d'inchiesta della Camera sugli attentati di Bengasi del 2011, che dopo due anni e sette milioni di dollari spesi ha concluso che non ha alcuna responsabilità nella morte dei quattro americani, tra cui l'ambasciatore Chris Stevens.
Trump being Trump
La settimana scorsa parlando delle finanze di Trump vi avevo raccontato di come – per tranquillizzare i finanziatori del partito – il candidato Repubblicano avesse deciso di trasformare in una donazione i 50 milioni di dollari che ha prestato fin qui al suo comitato elettorale. Questo perché I finanziatori del partito non vogliono dare soldi al comitato di Trump, se pensano che a un certo punto quei soldi se li metterà in tasca lo stesso Trump per ripagare quel prestito. Fatto sta che non si trovano prove che la trasformazione sia effettivamente avvenuta, la commissione che regola le cose economiche delle campagne elettorali statunitensi dice di non saperne niente e il comitato Trump fin qui si è rifiutato di diffondere dettagli.
Ah, un'altra cosa: Trump parla spesso di quanto faccia beneficienza e negli ultimi quindici anni ha promesso donazioni per 8,5 milioni di dollari. Il Washington Post è andato a vedere quanti soldi sono stati effettivamente versati dopo le sue promesse, e ha trovato riscontri solo per 2,8 milioni di dollari. E ha scoperto che Trump non dona niente a nessuno dal 2009.
Bonus
Non è che i Democratici si riprendono la Camera? È complicato, serve che l'impopolarità di Trump porti un numero consistente di elettori Repubblicani a restare a casa. Ma non è impossibile.
A che punto è la questione vice
Siamo entrati ufficialmente nel periodo in cui da un momento all'altro sia Clinton che Trump potrebbero annunciare i nomi dei loro candidati alla vicepresidenza. Stando a quello che scrivono i giornali – prendetelo con molte molle – Clinton ha ridotto la rosa a tre nomi, Elizabeth Warren, Julian Castro e Tim Kaine. Qui trovate qualche informazione in più su tutti e tre. La scelta più spettacolare sarebbe Warren, quella più rischiosa Castro, quella più sicura e noiosa Kaine. Io però non escluderei nemmeno un nome diverso da questi.

Beh beh beh.
Riguardo Trump, i nomi che si fanno sono quelli di Newt Gingrich, Joni Ernst, Mike Pence, Chris Christie e Mary Fallin. Ma è una rosa che va presa con ancora più cautela di quella di Clinton, e non solo perché la volontà di Trump è notoriamente inindagabile: alcuni di questi nomi sono francamente assurdi. Christie, per esempio, è detestato persino dagli abitanti del New Jersey, lo stato che governa. Gingrich era lo speaker della Camera negli anni Novanta, ha un tasso di popolarità inferiore al 30 per cento e soprattutto è un fedifrago cronico, cosa che negli Stati Uniti non si porta benissimo in politica. Gingrich ha tradito la sua prima moglie, che era una sua ex insegnante al liceo, e le ha chiesto il divorzio quando lei era malata di cancro (lei ha detto addirittura che le portò in ospedale le carte da firmare poco dopo un'operazione). Poi si è sposato con quella che era stata la sua amante e poi ha tradito anche lei, negli stessi giorni in cui si scagliava contro Bill Clinton per via della sua infedeltà; poi di nuovo ha divorziato e ha sposato la sua nuova amante. Buona fortuna!

Cosa deve fare nel 2016 un povero Repubblicano candidato alla Camera: un intero spot il cui messaggio è "non sono come quegli altri matti dei miei compagni di partito".
Cosa dicono i sondaggi
Nella newsletter del 28 maggio scrivevo così del fatto che in quei giorni alcuni sondaggi nazionali davano Trump sopra Clinton:
Dal momento in cui tutti gli avversari di Trump si sono ritirati, è successa un'altra cosa che capita sempre quando finiscono le primarie: il candidato vincitore consolida attorno a sé i voti e i consensi degli elettori del partito. Gli elettori che fin qui avevano sostenuto Ted Cruz, per fare l'esempio più semplice, hanno cominciato a rispondere ai sondaggi dicendo che a novembre voteranno Donald Trump. Dall'altra parte, invece, questo processo di consolidamento e riconciliazione è ancora in alto mare: non perché il risultato delle primarie sia in dubbio – come sapete servirebbero una sfilza di risultati epocali e clamorosi perché Clinton venga rimontata – ma perché Sanders nelle ultime settimane invece che ammorbidire i toni li ha esasperati. A Clinton in questo momento nei sondaggi stanno mancando quei consensi lì. Una parte di quei consensi arriverà certamente quando le primarie saranno ufficialmente finite. Un'altra parte arriverà senza entusiasmo ma perché spaventata da Trump (non si vota solo per qualcuno; spesso si vota contro qualcuno). Un'altra parte arriverà trascinata da Obama, che a quel punto comincerà a fare campagna elettorale per Clinton; un'altra parte la porterà con sé proprio Sanders, che con ogni probabilità farà lo stesso.
E infatti da settimane – da quando ha vinto le primarie del 7 giugno in California – Clinton si trova decisamente in testa ai sondaggi. Sia quelli nazionali, dove ha un ampio vantaggio ma che contano meno, sia quelli negli stati in bilico. Tanto che oggi si può quasi considerare in bilico un posto come l'Arizona (a ottobre mi piacerebbe trascorrere qualche giorno in uno stato in bilico: pensa se mi ritrovo a Phoenix). E tanto che Clinton è data addirittura solo otto punti indietro in Texas. Otto punti. In Texas. Lascia che lo venga a sapere Chuck Norris.
Nate Silver, lo stimato giornalista e statistico americano creatore di un interessante e complesso algoritmo che mescola i sondaggi pesandoli insieme ad altri dati, e ha predetto correttamente il vincitore stato per stato delle ultime due elezioni presidenziali, ha pubblicato le sue previsioni, che saranno aggiornate ora dopo ora fino alle elezioni dell'8 novembre. A oggi l'algoritmo consegna a Hillary Clinton il 78 per cento di probabilità di vittoria. Non è tantissimo come potrebbe sembrare – Trump ha una possibilità su cinque, di fatto – ma non è nemmeno poco.
Bonus
Un serio istituto di sondaggi – Public Policy Polling – ha sottoposto al suo campione questa domanda: preferisci Clinton, Trump o un gigantesco meteorite? Il 13 per cento ha scelto meteorite.
I Democratici stanno facendo pace
Elizabeth Warren va in giro a fare comizi con Hillary Clinton. Barack Obama la settimana prossima farà un comizio con Clinton a Charlotte, North Carolina, e durante il discorso si descriverà come un "convertito al culto di Hillary", dicono le anticipazioni. Joe Biden ha detto di aver parlato con Bernie Sanders e che presto Sanders darà il suo sostegno ufficiale a Clinton. Lui dice che serve ancora un po' di tempo (il tempo di chiudere la trattativa sulla piattaforma del partito – che nel frattempo è arrivata, e contiene molte concessioni a Sanders – e sul programma degli interventi della convention, secondo me). I capi delle campagne elettorali di Clinton e Sanders, che sono entrambi del Vermont, hanno un rapporto affettuoso e si sono visti a cena proprio a Burlington, la città di cui Sanders è stato sindaco, per parlare di come gestire i prossimi mesi. Tra l'altro: il capo della campagna elettorale di Clinton si chiama Robbie Mook e ha 35 anni. Trentacinque. E fa il capo della campagna elettorale di Clinton. E dicono anche che sia molto bravo.
Noi ci sentiamo sabato prossimo. Oppure ci vediamo venerdì sera a Lecce? Ciao!
Cose da leggere
– How To Steal An Election, di Jill Lepore sul New Yorker
– 14 Young Democrats to Watch, di Frank Bruni sul New York Times
– Bernie Blew It, di Jamelle Bouie su Slate
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