Siete andati a vedere il nuovo Captain America? Non è male, se vi piace il genere, ma è comunque l’ennesimo film di supereroi. Bello, si menano per tutto il film, forse anche basta così. A me comunque è piaciuta molto la scena che mostra le ultime due settimane di Hillary Clinton, cioè questa.
Ouch.
Prima di cominciare, però, un po’ di comunicazioni di servizio. È online la puntata zero del podcast sulla elezioni americane che metterò insieme durante le convention estive e poi fino alle elezioni di novembre: dura una decina di minuti e la potete ascoltare gratis qui. Saranno gratis anche le prossime puntate, naturalmente. Se avete consigli o proposte sul podcast, l’indirizzo lo conoscete (lo so, maledetta geografia americana, la capitale della California non è San Francisco ma Sacramento: pazienza, i numeri zero servono anche a questo).
Appuntamenti, poi: oggi pomeriggio parlo di elezioni americane alle 17 a Rondine, vicino Arezzo, da dove ho scritto la newsletter stamattina. Venite a farvi una gita? Il 26 maggio alle 21 invece sarò a Roma con Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti di YouTrend, così come il 30 maggio a Reggio Emilia (presto avrò dettagli, li troverete qui o sulla pagina Facebook). Ora veniamo a noi.
I'm Hillary Clinton and I approve this message.
Questa settimana Bernie Sanders ha vinto le primarie del Partito Democratico in Oregon e Hillary Clinton ha vinto quelle in Kentucky. Non sono risultati che cambiano qualcosa in vista della vittoria finale: Sanders è ancora indietro di oltre 270 delegati quelli eletti con le primarie, e questa settimana ne ha recuperati in tutto 9. Durante il comizio di Sanders successivo ai risultati, migliaia di suoi sostenitori hanno cantato cori come «Bernie o niente!»; Sanders ha sorriso ed è andato avanti col suo discorso, durante il quale ha detto tra le altre cose che «prima di battere Donald Trump, dobbiamo battere Hillary Clinton» e che il Partito Democratico deve «aprire le sue porte», alludendo esplicitamente al fatto che Clinton sia favorita dal "sistema" negli stati in cui alle primarie possono votare solo gli iscritti al partito.
Sanders continua a dire ai suoi sostenitori che può vincere le primarie, ma non è vero. E questo sta diventando un problema. Anche perché non solo Sanders continua a dire che può vincere, ma suggerisce sempre più spesso che se questo non dovesse accadere sarà perché la classe dirigente del Partito Democratico, compromessa e corrotta, ha truccato le regole della competizione per favorire Hillary Clinton. Sanders ha sempre puntato sulla sua avversione all'establishment politico e finanziario del paese, ma i toni positivi e propositivi dei primi tempi si sono fatti sempre più cupi e arrabbiati man mano che ha perso terreno alle primarie. E quindi stanno succedendo cose come quella capitata in Nevada.
Lo scorso fine settimana in Nevada si è tenuta la convention statale del Partito Democratico, che in soldoni serve a determinare quali e quanti delegati dello stato andranno alla convention sulla base dei risultati dei caucus del Nevada – vinti da Clinton col 52,6 per cento dei voti lo scorso febbraio – e di una serie di altre più piccole convention di contea nelle quali invece i sostenitori di Sanders erano andati meglio di quelli di Clinton. Nel corso della convention statale però quei successi dei sostenitori di Sanders sono stati annullati sulla base del fatto che si basavano sui voti di persone non registrate come elettori del Partito Democratico. Ci sono state proteste verbali che sono diventate sempre più intense, e poi sono diventate insulti, e poi sono diventati sedie lanciate sul palco, e poi sono diventate spintoni, e poi sono diventate persone che si sono sentite male e poliziotti che sono dovuti intervenire e far evacuare la sala. Poi sono diventate migliaia e migliaia di insulti sessisti e minacce di morte alla presidente locale del partito, ai suoi figli, a suo nipote. Robe davvero sgradevoli, se avete stomaco potete leggerne una parte qui.
Gli osservatori più obiettivi e imparziali hanno detto che il partito del Nevada ha semplicemente applicato le regole, senza fare forzature, e che alla fine la spartizione dei delegati dello stato riflette l'esito del voto degli elettori. Moltissime persone, anche tra i sostenitori storici di Sanders, si sono detti preoccupati da quello che è successo. Giornalisti e testate molto pro-Sanders hanno pubblicato articoli critici e severi. Il Partito Democratico del Nevada ha inviato una lettera al partito federale, in cui ha scritto tra le altre cose: «Vogliamo mettervi in guardia sull’inclinazione della campagna Sanders ad atteggiamenti da extraparlamentari – anche apertamente violenti – dopo aver visto quello che possiamo descrivere solo incoraggiamento e complicità con i comportamenti che hanno creato caos e minacce fisiche ad altri compagni Democratici».
Sanders ha reagito con un comunicato piuttosto assurdo, in cui si dissocia dai comportamenti violenti con una frase en passant e per il resto accusa il Partito Democratico di aver distorto e truccato le regole delle primarie e di voler limitare la partecipazione degli elettori pur di rimanere «legato allo status quo, dipendente dai suoi grandi e ricchi finanziatori, limitato dalla scarsa partecipazione ed energia dei suoi sostenitori». Sanders e i suoi si lamentano soprattutto di tre cose: i pochi dibattiti televisivi organizzati dal partito; il fatto che in diversi stati solo gli elettori registrati come Democratici abbiano potuto votare alle primarie; il ruolo dei superdelegati, cioè le persone che partecipano alla convention di diritto in quanto funzionari del partito o membri che ricoprono cariche elettive, e che oggi sostengono in grande maggioranza Hillary Clinton. Nessuna di queste tre accuse però è davvero convincente.
I candidati Democratici hanno partecipato a meno dibattiti televisivi dei Repubblicani: questo è un fatto. Ed è un fatto che il partito ha programmato questi dibattiti in giornate e orari molto poco televisivi (tipo di sabato sera). È vero però alle elezioni di quattro anni fa i Repubblicani erano stati criticati e irrisi da tutti – elettori Democratici compresi – per la quantità esagerata di confronti tv organizzati, e insomma la scelta dei Democratici non è stata proprio inspiegabile; e comunque quando si è capito che tra Clinton e Sanders sarebbe stata una campagna vera, sono stati comunque organizzati dei dibattiti supplementari. Inoltre, nessuno stato ha cambiato le regole delle primarie in corsa: giuste, sbagliate o cervellotiche, come sono spesso nella politica americana, le regole sono sempre quelle. Gli stati che hanno deciso di far partecipare alle primarie solo gli elettori registrati come Democratici sono nella grandissima parte stati che fanno così da molti anni: e di solito questa era la soluzione preferita dalla sinistra, visto che in altri anni le primarie aperte a tutti limitavano l’influenza della base del partito, cioè degli elettori ideologicamente più "puri". Infine, storicamente i superdelegati seguono sempre la volontà popolare, cioè i risultati delle primarie: nel 2008, infatti, a un certo punto si spostarono in massa da Clinton a Obama; e lo stesso Bill Clinton, che è un superdelegato in quanto ex presidente, ha detto che se Sanders avesse ottenuto più delegati con le primarie lui lo avrebbe votato alla convention.
Altre due cose, per capire perché su questo tema Sanders ha torto.
Di una di queste abbiamo già parlato. Sanders dice: in tutto ci sono 4.766 tra delegati e superdelegati. La maggioranza assoluta è 2.384. Clinton oggi ha ottenuto 1.701 delegati con le primarie e non può arrivare matematicamente alla maggioranza assoluta escludendo i superdelegati. Quindi ci vuole una "contested convention". Ma così i conti non tornano mai: se si prende in considerazione il numero totale, superdelegati compresi – e questo impongono le regole, che sono chiare per tutti fin dall'inizio – non si capisce perché Clinton per vincere dovrebbe arrivare a quella soglia con i soli delegati eletti con le primarie. È come dire che Clinton per vincere davvero non dovrebbe ottenere il 50 per cento più uno dei voti, come in ogni elezione con due candidati, ma il 65 per cento. I superdelegati contano nel determinare la soglia da raggiungere ma non contano ai fini del raggiungimento della soglia? E perché mai? Peraltro, di nuovo, i superdelegati fin qui stanno seguendo – come fanno sempre, peraltro – le indicazioni del voto popolare: e Sanders allo stesso tempo corteggia i superdelegati di Clinton e dice che il loro voto è anti-democratico.
Seconda cosa. Il risultato odierno, regole o non regole, piaccia o non piaccia, rispetta le volontà degli elettori Democratici che hanno votato fin qui. Clinton ha ottenuto alle primarie fin qui il 56 per cento dei voti, contro il 42,3 per cento di Sanders: in termini numerici sono oltre tre milioni di voti in più. Clinton ha anche vinto in più stati e ha ottenuto più superdelegati. Ammesso che si cambino le regole in corsa, e si decida di assegnare in blocco i superdelegati di ogni stato al vincitore delle primarie di quello stato, Clinton resterebbe in vantaggio.
Nel frattempo in questi giorni diversi collaboratori di Sanders hanno lasciato la sua campagna elettorale, compreso il capo del settore tecnologico del comitato di Sanders in California, dove si tengono le importanti e decisive primarie del 7 giugno. Posso sbagliarmi, ma la mia sensazione è che Sanders dovrebbe togliere il piede dell'acceleratore: senza ritirarsi, perché ha senso che tutti gli elettori possano votare in pari condizioni e perché avere più delegati aumenta il suo potere contrattuale nelle decisioni programmatiche della convention, ma abbassando i toni e ricordandosi che l'avversario è un altro.

Lui, per la precisione.
Lui, l'avversario, non è uno scemo. Infatti ha iniziato a corteggiare apertamente gli elettori di Sanders con tweet che dicono: «Quella corrotta di Hillary non riesce nemmeno a chiudere la questione con Bernie, e i Democratici hanno truccato le regole per favorirla!», «Ho detto che quella corrotta di Hillary non è abbastanza qualificata per fare la presidente: Bernie dice la stessa cosa», «I Democratici stanno trattando davvero male Bernie Sanders, hanno truccato le regole contro di lui. Molti dei suoi elettori arrabbiati ora stanno con me!».
Non so se sono molti, questi elettori arrabbiati di Sanders che possono andare con Trump, ma come dicevamo la settimana scorsa certamente esistono. Il sostegno di Sanders è composto in parte da elettori con valori e idee molto di sinistra, e in parte da elettori molto arrabbiati con lo status quo sedotti dalla promessa della "rivoluzione politica". Con quegli elettori la candidatura di Donald Trump potrebbe avere argomenti più efficaci di quella di Hillary Clinton. Specie finché lei sarà costretta a difendersi contemporaneamente da due avversari, come Iron Man lì sopra.
Ci sentiamo sabato prossimo. Ciao!
Cose da leggere
– Is Sanders Hurting Clinton By Staying In The Race?, della redazione di FiveThirtyEight
– I Repubblicani che tramano contro Trump, di Philip Rucker e Robert Costa sul Washington Post, tradotto in italiano dal Post
– Yes, Hillary Clinton is beatable in the general election. Just watch this video, di Chris Cillizza sul Washington Post
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