Se vi interessano risposte semplici a domande complicate, da giorni ne trovate a decine in circolazione. Ma le domande complicate hanno spesso risposte complicate, e quello che possiamo fare oggi è solo un primo passo: proviamo a farlo insieme. 

Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali americane e sarà il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Come è successo? Perché è successo?

Un po' di numeri
Cominciamo dai dati e non dalle opinioni, accettando l'idea che i dati stessi complichino le risposte alle nostre domande. In termini di voti espressi su base nazionale, Hillary Clinton ha ricevuto più voti di Donald Trump: in questo momento sono 600.000 voti, lo 0,5 per cento, ma in diversi stati lo scrutinio dei voti è ancora in corso e sono stati come la California, dove Clinton è andata molto bene: i calcoli più affidabili dicono che alla fine potrebbe aver superato Trump di uno o due punti percentuali. Clinton avrebbe vinto quindi nel voto popolare con un margine più alto non solo di Al Gore nel 2000 ma anche di Richard Nixon nel 1968 e John Fitzgerald Kennedy nel 1960.

Questo dato non rende illegittima la vittoria di Trump: ormai sapete come funzionano le elezioni americane e vi ricorderete che fin dalla prima newsletter ho scritto, per esempio, che i sondaggi nazionali non contano molto perché si gioca stato per stato, e le regole sono uguali per tutti e chiare fin dall'inizio. Questo dato però dovrebbe spingerci ad avere qualche cautela nelle nostre valutazioni politiche.

Vado avanti. Clinton ha perso le elezioni in tre stati che sono stati vinti da Trump ribaltando pronostici e sondaggi: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. In Michigan ha perso di circa 12.000 voti, in Wisconsin di circa 27.000 e in Pennsylvania di circa 60.000. In tutto fanno poco più di 100.000, su un totale di 127 milioni di voti espressi. Di nuovo, poi, tenete conto che lo scrutinio è ancora in corso: molti hanno scritto che Trump ha preso meno voti di John McCain nel 2008 e Mitt Romney nel 2012, ma in realtà a oggi Trump ha preso circa 300.000 voti più di McCain e solo 700.000 in meno di Romney, ed è una distanza che si ridurrà ancora. Clinton ha ottenuto invece 9 milioni di voti in meno di Obama nel 2008 (ma quella fu un'elezione straordinaria) e 5 milioni in meno di Romney nel 2012, che è il vero dato preoccupante. Qui trovate i dati aggiornati, stato per stato.

Bonus
Ve lo ricordate Gerald, quello dello spot più bello del mondo? Ha vinto le elezioni.



Chi ha votato come
Trump ha avuto il 53 per cento dei voti degli uomini, Clinton il 54 per cento dei voti delle donne. Trump ha avuto il 58 per cento dei voti dei bianchi (occhio a questo dato, ci torniamo), mentre Clinton ha avuto l’88 per cento dei voti dei neri e il 65 per cento dei voti tra i latinoamericani. Clinton ha vinto tra i giovani e tra le persone di mezza età, ottenendo il 55 per cento dei voti nella fascia 18-29 anni e il 50 per cento contro il 42 di Trump in quella 30-44; Trump è andato meglio con i più attempati, ottenendo il 53 per cento nella fascia 45-64 e tra chi ha più di 65 anni. Clinton ha vinto tra i laureati, Trump tra i non laureati, ma si nota una cosa interessante intrecciando questo dato con quello etnico: Trump ha stravinto tra i bianchi senza laurea ma è andato molto bene anche tra i bianchi laureati (49 per cento, contro il 45 di Clinton). Altro dato significativo, il reddito: Clinton ha vinto nettamente tra chi guadagna meno di 50.000 dollari l’anno, Trump ha vinto tra chi ne guadagna di più. Infine, la provenienza geografica: Clinton ha stravinto tra chi abita nelle città medio-grandi, Trump ha stravinto tra chi abita nelle piccole città o in campagna.

Chi ha votato chi in base alla questione che considerava prioritaria.

Questi dati vengono dal più grande e affidabile exit poll effettuato nel giorno delle elezioni. E voi direte, dobbiamo fidarci ancora degli exit poll? La mia risposta è: sì, ovviamente con la solita cautela. I sondaggi hanno sempre detto, fino all'ultimo giorno, che Trump avrebbe potuto vincere. Io stesso l'ho scritto un sacco di volte, l'ultima facendo il bilancio finale dei dati qui.
 
«Secondo i sondaggi Hillary Clinton è la favorita, ma una vittoria di Donald Trump non è impossibile: e se dovesse avvenire, probabilmente non saremmo in presenza di un grave errore nei sondaggi ma semplicemente di uno scarto di uno o due punti, in molti stati, e sempre nella sua direzione»

È esattamente quello che è successo. Sul piano nazionale, i sondaggi sono stati persino più accurati che nel 2012. Sul piano statale c'è stato un errore soprattutto negli stati del Midwest, ma non è stato un errore di misurazione delle preferenze elettorali – i famosi elettori di Trump "nascosti" – ma di composizione del campione: si prevedeva che andassero a votare più persone per Clinton, che invece non si sono presentate. In più, sulla base dei dati di cui parlavamo prima, sarebbe bastato uno spostamento di un punto percentuale nella direzione di Clinton – ampiamente dentro il margine di errore – e oggi staremmo parlando di un'altra storia. Se vi interessa la questione dei sondaggi vi consiglio di leggere questo articolo. Dire che Trump aveva il 30 per cento di possibilità di vincere non vuol dire che era impossibile ma che era improbabile: e il fatto che si verifichi un evento improbabile non implica che il calcolo delle probabilità fosse sbagliato. Le cose improbabili a volte accadono.

Ce l'avessero detto due anni fa.

Perché Trump ha vinto? 
Questa secondo me è la domanda sbagliata. La domanda giusta dovrebbe essere: perché Trump ha preso così tanti voti? Intendo che negli Stati Uniti è successa una cosa enorme che sarebbe rimasta enorme anche se l'uno per cento dei voti si fosse spostato dall'altra parte, e Clinton invece di perdere le elezioni per un pelo le avesse vinte per un pelo. Per questo credo si debba parlare della forza elettorale di Trump e del suo consenso senza arrivare a conclusioni apocalittiche e definitive sull'identità dell'America, così come sarebbe stato sbagliato farlo dalla parte opposta in caso di vittoria di Clinton.

Trump è andato molto forte tra i bianchi, soprattutto nel Midwest, e anche questa non è una storia che ci coglie di sorpresa. Più volte in questi mesi abbiamo parlato della sofferenza di quella regione degli Stati Uniti, che ha patito più di altre gli effetti della crisi economica, e sapevamo che l'unica strada possibile per una sua vittoria passava da lì. Questo strepitoso articolo del New Yorker è stato scritto prima delle elezioni, per esempio. Questo invece scrivevo io a maggio, sulle possibilità di Trump.
 
«Lo studio delle mappe elettorali e dei dati suggerisce una cosa più generale: che Trump per vincere ha bisogno di recuperare consensi nelle parti dell’elettorato statunitense che oggi hanno un’opinione negativa di lui – soprattutto afroamericani e latinoamericani – oppure di portare a votare una quantità senza precedenti di elettori bianchi, pescando soprattutto tra quelli che di solito non vanno a votare, che sia grande abbastanza da sopperire al suo probabile svantaggio nei segmenti demografici più in crescita e gli permetta di vincere in stati come la Pennsylvania, l’Ohio, l’Iowa, il New Hampshire o il Wisconsin. Entrambe le cose sono difficili ma non impossibili. Nel 1980, a questo punto della campagna elettorale, il presidente uscente Jimmy Carter era dato in vantaggio su Ronald Reagan da gran parte dei sondaggi; alla fine perse di dieci punti percentuali su base nazionale»

E questo a luglio:
 
«Non serve che lo dica Michael Moore, ormai nessuno sostiene più il contrario: Donald Trump può vincere le elezioni. Innanzitutto perché, in una gara a due, si può vincere anche per auto-distruzione dell'avversario: se domani Hillary Clinton tira un ceffone a un bambino in preda a un raptus, Donald Trump vince le elezioni pure stando fermo. E Trump può vincere per le cinque ragioni elencate da Moore, che sono notoriamente e da mesi i suoi punti di forza, come avete letto più volte nella newsletter: il malessere della classe operaia bianca del Midwest, le difficoltà di Clinton nel piacere personalmente agli elettori, i potenziali malumori di un pezzo di sostenitori di Sanders, la corrente mondiale che spinge da un'altra parte (Brexit, etc)»

Non cito tutto questo per fare quello che l'aveva detto: sono stato molto colto di sorpresa dalla vittoria di Trump. Molto colto di sorpresa. Lo cito per invitarvi di nuovo a non affidarvi a risposte semplici, per esempio quelle sui giornalisti e i sondaggisti che non ci hanno capito niente. Trump ha vinto nell'unico modo in cui poteva vincere, che era stato ampiamente descritto. C'è stato un errore di valutazione della portata del suo consenso del Midwest: sicuramente sì. C'è stato un errore di presunzione da parte di molti che pensavano che al di là dei dati uno come Trump alla fine non potesse davvero vincere le elezioni: sicuramente sì. Ma l'errore più grosso è stato compiuto non misurando Trump, bensì misurando Clinton.

L'affluenza al voto degli elettori Democratici è stata molto inferiore alle attese. Ci si aspettava che Clinton andasse particolarmente bene tra le donne, invece è andata più o meno come Obama quattro anni fa. Ci si aspettava che Clinton andasse particolarmente bene tra i latinoamericani, e invece è andata peggio di Obama quattro anni fa. Inoltre i voti di Clinton sono stati distribuiti per il paese in modo inefficace rispetto all'obiettivo di ottenere più grandi elettori: Clinton è andata più vicina a vincere in due stati storicamente Repubblicani e che poteva lasciar perdere, come Georgia e in Arizona, invece che in Ohio e in Iowa, che invece erano in bilico e in cui doveva fare di tutto per far bene. Trump tra i bianchi ha ottenuto più o meno la stessa percentuale di voti di Romney nel 2012, che le elezioni le perse: è improprio quindi dire che in generale sia andato fortissimo tra i bianchi. Il dato nazionale inganna. Trump è andato fortissimo tra i bianchi nei posti in cui gli serviva andare fortissimo tra i bianchi. Clinton è andata bene tra i latinoamericani e gli afroamericani ma non quanto e dove le sarebbe servito per vincere.

Delle ragioni della forza di Trump abbiamo detto, e avremo modo per discuterne meglio: intanto vi consiglio di nuovo di leggere l'articolo del New Yorker che ho linkato qui sopra, che racconta davvero moltissimo. Della debolezza di Clinton, invece, cosa possiamo dire?

Clinton ha vinto tra gli elettori per cui la priorità era l'economia e ha vinto tra le persone col reddito più basso: escluderei che c'entri soltanto una questione economica, che comunque ha avuto un ruolo importante. C'entra, rispetto ai bianchi del Midwest, anche un più generale senso di abbandono e frustrazione, di chiusura davanti a un paese che sta attraversando un rapido cambiamento demografico – alcuni parlano di "marronizzazione dell'America", con riferimento al colore della pelle – che si traduce in paura del futuro e ossessione per il terrorismo e l'immigrazione, soprattutto tra chi ha più di cinquant'anni: il tutto da parte di elettori che vivono in campagna, e quindi sono i meno esposti a entrambi i fenomeni. Credo insomma che l'età, l'etnia e l'entusiasmo per il candidato abbiano contato in generale più della situazione economica: che ripeto, comunque ha avuto un peso soprattutto in una parte circoscritta e decisiva del paese.

C'entra la debolezza strutturale di Clinton come candidata: che sia per il suo passato, per il suo carisma, per il suo essere donna, per gli scandali, probabilmente per tutte queste cose insieme. Il cedimento dell'elettorato Democratico si può spiegare soltanto in parte con la fragilità di qualsiasi partito che viene da due mandati alla Casa Bianca – dal Dopoguerra solo i Repubblicani nel 1988 riuscirono a esprimere un presidente per il terzo mandato consecutivo – e ha evidentemente radici più profonde. Se si vuole cercare semplicemente la causa numerica della sconfitta, sono stati probabilmente decisivi il collasso della candidatura di Gary Johnson, che ha passato gli ultimi mesi di campagna elettorale a rendersi ridicolo passando a Trump molti dei suoi voti, e il caso FBI-email, visto che Trump ha stravinto tra gli elettori che hanno deciso nell'ultima settimana.

Gary Johnson si incazza con un giornalista a caso.

Con un distacco così risicato negli stati-chiave, però, ogni tesi può essere valida: per questo dico che i due grandi fenomeni di questa elezione – la forza di Trump e la debolezza di Clinton – sarebbero rimasti intatti anche se alla fine fosse stata Clinton a vincere per un pelo. Sarebbero stati comunque i due grandi temi di discussione di questa elezione. Detto che entrambe le cose erano un po' sotto il nostro naso, perché non abbiamo pensato che potessero essere decisive? Perché non abbiamo capito quanto Trump potesse essere forte e quanto Clinton potesse essere debole? È la domanda che mi gira in testa da martedì notte e non vi nascondo che mi ha tolto un po' il sonno, dopo un anno e mezzo a occuparmi di questa storia. Penso di averne imparato qualcosa, comunque, che mi sarà utile da qui in poi: e di questo ho parlato nella nuova puntata del podcast, che è uscita ieri e potete ascoltare qui sotto. Cosa è andato storto nelle previsioni degli analisti, e nelle mie?

Clicca play.

Questo è solo l'inizio dell'analisi, comunque: bisogna aspettare dati più completi e affidabili, leggere altro, studiare, lasciare un po' sedimentare le cose.

Veniamo al resto, in ordine sparso:

– Donald Trump ha affidato al suo vice Mike Pence la gestione della transizione verso la Casa Bianca, togliendone la responsabilità a Chris Christie. E intanto si sta circondando di un numero pazzesco di lobbisti, che in campagna elettorale diceva di voler ostacolare ed estromettere dal governo.

– in tutto questo, il 28 novembre i rappresentanti legali di Trump dovrebbero presentarsi in tribunale in California per rispondere delle accuse di truffa legate alla Trump University. È una vicenda che ha pochi precedenti, a questo punto: è possibile che i giudici rinviino l'udienza per dare modo a Trump di risolvere la questione con un risarcimento e una conciliazione, e chiuderla prima del suo insediamento alla Casa Bianca. Il presidente in ogni caso ha l'immunità legale solo per le cose fatte nell'esercizio del suo mandato.

– poi c'è la questione delle molte attività imprenditoriali di Trump, anche queste senza precedenti per un presidente americano. Trump ha detto che intende mettere tutto in un blind trust e affidarne la gestione ai figli, cosa che però sta già facendo alzare qualche sopracciglio (specie visto che i suoi figli in qualche modo si stanno occupando anche della transizione verso la Casa Bianca). 

– Trump ha detto che gli piacerebbe mantenere in piedi alcune norme della riforma sanitaria di Obama, le più sensate e popolari, correggendo la legge in modo da evitare che la sua sostenibilità economica pesi solo sulle tasche della classe media. È prestissimo per giudicare come il presidente Trump sarà diverso dal candidato Trump, ma questa è una posizione politica sensata e rassicurante.

Un video che non c'entra niente ma può aiutare quelli di voi che hanno l'angoscia.

Cosa succede adesso
Il 19 dicembre, stato per stato, i grandi elettori si riuniranno ed esprimeranno il loro voto: non sono vincolati a votare per il candidato che ha vinto nel loro stato, ma non esiste la minima possibilità che Trump non venga formalmente eletto presidente degli Stati Uniti. Poi, il 20 gennaio del 2017, sul grande terrazzo del Congresso che dà sul National Mall di Washington DC, Donald Trump presterà giuramento davanti al capo della Corte Suprema e diventerà ufficialmente il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Il viaggio cominciato all'inizio della campagna elettorale sarà ufficialmente finito, e ne comincerà un altro. Vale anche per noi.

Novantotto newsletter, diciassette podcast e quarantasei incontri in giro per l'Italia – e poi gli articoli, le interviste, il lavoro per La Casa Bianca – non sono possibili se sei da solo: specialmente se il tutto viene portato avanti nel tempo libero. E quindi ci sono alcune persone a cui devo dire grazie. Marco, che ogni settimana ha reso migliore questa newsletter facendomi notare le cose che non tornavano e adoperandosi perché non fosse piena di refusi, anche a costo di fare i miei orari assurdi, anche in vacanza, sempre. Luca, che mi ha insegnato come si fa questo mestiere e molto altro. Le mie colleghe e i miei colleghi al Post, che hanno sopportato le mie distrazioni e assenze, e che sono la mia famiglia. Lorenzo e Giovanni, che hanno pensato che potessi raccontare queste cose anche fuori da questa newsletter. Carlo, senza il quale il podcast non esisterebbe, e che mi ha dato molti preziosi consigli. Andrea, che mi ha coinvolto in una cosa più grande di me. Twitter Italia, Otto e la Fondazione De Gasperi, che hanno dato a questo progetto un prezioso sostegno materiale. La giuria del premio giornalistico Spotorno, che mi ha fatto un gran regalo.

E poi voi, che intanto siete diventati quasi novemila. Dal 14 giugno del 2015 la scrittura di questa newsletter ha scandito e si è intrecciata alla mia vita in modi che mai avrei potuto prevedere: ed è stato un anno di montagne russe, non solo per via delle elezioni americane. Ricevere le vostre risposte dopo ogni newsletter – decine ogni settimana, più di duecento soltanto dopo l'ultima – e incontrarvi in giro per l'Italia è stata la cosa più bella di questo viaggio. Dopo un anno e mezzo insieme parliamo la stessa lingua, possiamo dirci "piacere" e dare istantaneamente per scontate un sacco di cose, con l'affetto e la complicità di chi ne ha viste tante. Grazie di nuovo a tutti, di cuore.

La newsletter e il podcast ora andranno in sonno per un po', ma poi ritornano. 

Mancano 1452 giorni alle elezioni americane.


 
Questa newsletter vi arriva grazie al contributo di Otto e della Fondazione De Gasperi.
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Francesco Costa · Portello · Milano, Italia 20149 · Italy