«Hope in the face of difficulty,
hope in the face of uncertainty:
the audacity of hope»
Donald J. Trump ha vinto le elezioni americane. Ha ottenuto più di 270 grandi elettori e quindi sarà il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti. Come è successo, concretamente: Trump ha percorso l'unica impervia strada che aveva a disposizione, di cui avevamo parlato più volte nelle settimane scorse, vincendo in gran parte degli stati in bilico – Florida, Ohio, North Carolina, Iowa – e anche in alcuni che sembrava non dovessero proprio essere in bilico, come la Pennsylvania, probabilmente il Michigan e il Wisconsin, dove mai un solo sondaggio in questa lunga campagna elettorale lo aveva dato in vantaggio. Mai. Uno.
Immagino a questo punto che molti di voi cerchino delle risposte, delle spiegazioni, a un simile capovolgimento: non tanto e non solo dei sondaggi ma delle regole più basilari della politica, del semplice buon senso. Io quelle spiegazioni per il momento non credo di averle. Raccontando questo anno e mezzo ho parlato di tutte le cose che fanno o possono fare la fortuna di una candidatura, dalle proposte politiche alle strategie, dalle capacità economiche all'organizzazione territoriale, dall'importanza dei dibattiti a quella degli spot televisivi: e ho cercato di farlo ogni volta spiegando e contestualizzando, aggrappandomi ai dati, ai precedenti storici e alle cose scritte e dette dalle persone più competenti in circolazione, suggerendo sempre attenzione e cautela, ripetendo di non dare niente per scontato così tante volte che a qualcuno è sembrata una formula rituale. Eppure evidentemente anche io ho guardato almeno un po' da un'altra parte: essere in ottima compagnia non è una gran consolazione.
Sapete come funziona in questi casi: per qualche giorno in giro sarà pieno di persone secondo cui non poteva che vincere Trump, pronte a spiegare per filo e per segno i motivi per cui è finita così. Di ipotesi ne circolano moltissime: Hillary Clinton era troppo debole o troppo vicina ai poteri forti, i bianchi non hanno accettato un paese che cambia, le minoranze etniche non hanno votato come previsto, i Democratici hanno abbandonato la classe operaia, è colpa del caso FBI o del caso email in generale, è colpa degli astensionisti di sinistra o dei moderati. Io non ho le idee altrettanto chiare. E dopo un anno e mezzo a raccontare una campagna elettorale con gli standard con cui da decenni si giudicano con successo le campagne elettorali, è evidente che quegli standard non valgono più.
È un argomento che non riguarda il fatto che Trump possa piacervi o no, ma è il fatto che nessun candidato del passato sia e sarebbe sopravvissuto a vent'anni di tasse federali non pagate, alle prese in giro a un disabile, agli insulti ai genitori di un soldato morto, alle bugie e le teorie del complotto, al vantarsi del molestare le donne, e sapete quanto a lungo potrebbe continuare la lista. Ripeto, questo non riguarda il fatto che Trump possa piacervi o no: riguarda il fatto che nessuno era mai riuscito a farsi eleggere dopo qualcosa del genere. E anche con così pochi comitati sul territorio, con così pochi soldi raccolti e spesi, con un partito così diviso, con una comunicazione così improvvisata, dopo dibattiti e convention così disastrose. Tutto quello che sapevamo da decenni è falso, almeno in parte: evidentemente ha avuto ragione Trump e torto noi. Probabilmente non se lo aspettava nemmeno lui. Proprio per questo in questo momento sarebbe particolarmente presuntuoso per me proporre spiegazioni. Tocca far raffreddare le cose, e riposare le teste.
Consideratevi abbracciati, tutti: ché non sarà semplice nemmeno per chi oggi esulta. Ci sentiamo sabato.
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