È online la settima puntata del podcast sulle elezioni americane! La trovate
qui su iTunes e
qui su Spreaker, e si intitola: "Donald Trump può ancora rimontare?". La risposta a questa domanda non è scontata. Tenete conto, infatti, che di solito chi è avanti nei sondaggi tra agosto e settembre alla fine vince, e che oggi la situazione nei sondaggi è questa:
Gli stati in blu sono quelli in cui oggi Hillary Clinton ha un vantaggio medio superiore ai dieci punti; quelli in azzurro sono quelli in cui Clinton ha un vantaggio medio tra i cinque e i dieci punti. Servono 270 grandi elettori per vincere le elezioni e solo mettendo insieme questi stati Clinton ne ha 301. Poi –
soltanto poi – ci sono gli stati in bilico, e tra questi ce ne sono alcuni storicamente Repubblicani come Georgia, Missouri e Arizona. È possibile ribaltare una situazione del genere a due mesi e mezzo dal voto? Nella
settima puntata del podcast proviamo a capirlo grazie alle storie di due grandi rimonte delle presidenziali statunitensi del passato, una sfiorata nel 1976 e una riuscita nel 1988.
Le notizie di questa settimana ci danno però un altro indizio sul perché considerare la partita ancora aperta: in questa campagna elettorale, ognuno dei candidati è tenuto in piedi in gran parte dai difetti e dai problemi dell'altro.
Nella newsletter della settimana scorsa abbiamo parlato dei problemi di Hillary Clinton con la fondazione benefica di famiglia (se siete dei nuovi iscritti – benvenuti! –
la trovate qui). Questa settimana quella storia si è allargata ulteriormente quando
Associated Press ha diffuso
un articolo contenente questo passaggio devastante.
«Più della metà delle persone esterne a governi ed enti pubblici che Hillary Clinton ha incontrato nelle sue funzioni di Segretario di Stato avevano fatto donazioni – personalmente o attraverso altri enti – alla Clinton Foundation. Almeno 85 delle 154 persone rappresentanti di interessi privati che hanno incontrato o parlato al telefono con Hillary Clinton mentre lei era al Dipartimento di Stato hanno fatto donazioni alla fondazione benefica di famiglia»
Boom. Per parecchie ore non si è parlato d'altro, poi sono iniziate a circolare analisi un po' più scettiche. Come ha fatto
Associated Press a produrre questo conteggio? E soprattutto, 154 persone incontrate in quattro anni non sono pochissime per un Segretario di Stato?
Vox ha definito la tesi apertamente falsa, spiegando che eliminare dal conteggio tutti i dipendenti di governi – di quello americano e di quelli stranieri – è arbitrario, e che quel 154 rimane comunque un numero assurdamente basso anche se riferito ai soli privati cittadini, visto che durante i suoi viaggi ufficiali Clinton incontrava regolarmente decine di giornalisti, attivisti, imprenditori e personalità varie.
Fortune ha scritto che
Associated Press ha ceduto alla cultura del clickbait,
altri hanno fatto critiche simili, i vari fact-checkers in giro – nonché il comitato Clinton –
hanno criticato molto soprattutto
questo tweet di AP, nel quale sparisce il riferimento alle "persone esterne a governi ed enti pubblici" e si dice una cosa che invece è evidentemente falsa.

Al di là di quanto sia fondato il calcolo di
Associated Press, i casi sospetti o quantomeno sgradevoli in questa storia ci sono, come abbiamo detto la settimana scorsa: e a Hillary Clinton fa male il solo fatto che se ne parli, anche se non dovesse esserci alcuna sostanza. Poi c'è la vicenda delle email, che sta proseguendo: l'FBI questa settimana ha detto di aver recuperato altri 15.000 tra email e documenti che non erano stati consegnati da Hillary Clinton durante l'inchiesta, forse perché erano personali, forse perché di lavoro ma cancellati, forse perché c'era qualcosa da nascondere. Lo sapremo presto, perché un giudice federale ha ordinato la diffusione di queste email nelle prossime settimane. Di nuovo: nelle migliaia di email di Clinton già diffuse non c'era niente di rilevante, magari non ci sarà niente nemmeno in queste, ma Clinton è danneggiata dal solo fatto che questa storia rimanga un tema di discussione. Pensa se poi dovesse esserci qualcosa.
È ormai opinione diffusa e consolidata che una candidata percepita dalla maggioranza degli americani come inaffidabile e che continua a incappare in guai del genere non avrebbe molte speranze di vincere contro un avversario normale e presentabile. Ma lo sapete com'è fatto l'avversario di Hillary Clinton, no?
Hillary Clinton apre un barattolo per dimostrare che è in buona salute, dopo le bufale messe in giro da Trump e i suoi sul fatto che sia malata.
Veniamo alla settimana dell'avversario di Hillary Clinton, per l'appunto. Vi ricorderete che dieci giorni fa Donald Trump
ha azzerato la dirigenza del suo comitato elettorale, affidandone la guida all'editore di un sito di estrema destra e a un'esperta stratega del Partito Repubblicano. Come sta andando la svolta? Non benissimo.
Nel tentativo di raggiungere pezzi di elettorato che fin qui lo hanno guardato in cagnesco – i moderati e le minoranze etniche – Trump e i suoi hanno alluso alla possibilità di cambiare linea sull'immigrazione, il tema su cui più di ogni altro Trump ha costruito la sua candidatura: e quindi rinunciare al piano di deportazione di massa di tutti gli immigrati irregolari e magari proporre una qualche forma di amnistia perché chi è entrato illegalmente negli Stati Uniti ma abbia un lavoro o dei figli e non abbia commesso reati. Si tratta, in sostanza, delle stesse proposte di gente come Marco Rubio o John Kasich o Jeb Bush, che Trump aveva criticato con gran forza durante le primarie. Ma siamo ancora alle allusioni, appunto: Trump in un'intervista ha detto che sta pensando di «ammorbidire» certe sue proposte, nell'intervista successiva invece ha detto di volerle «rafforzare»; la sua stratega ha detto che le modalità di implementazione delle idee di Trump «devono ancora essere decise», poi Trump ha detto che anche gli immigrati irregolari che non delinquono dovranno lasciare gli Stati Uniti ma potranno tornare. Tutto molto confuso.
Trump ha cambiato idea sull'immigrazione? A oggi no. Ma sta dando l'impressione di volerlo fare o di poterlo fare, con qualche vaghezza, limitandosi a parlarne meno nei comizi, sperando che basti ad andare oltre i limiti del suo consenso fin qui: dovesse farlo con più decisione, infatti, potrebbe perdersi per strada quelli che oggi intendono votarlo proprio per via della sua posizione dura sull'immigrazione, senza contare che finirebbe per assomigliare ai politici che non mantengono la parola che lui tanto ha criticato. Insomma è un terreno molto scivoloso, e svolte del genere a due mesi e mezzo dalle elezioni e un mese dal primo dibattito televisivo possono essere molto rischiose.
La portavoce di Trump dice che Trump non ha cambiato la sua posizione sull'immigrazione ma le parole con cui la esprime. Uhm.
Un'altra cosa che sta cambiando nella campagna elettorale di Trump è il modo in cui Trump usa il suo tempo. Per mesi, dopo aver vinto le primarie, Trump ha organizzato iniziative e comizi in posti improbabili: in stati dove ha un vantaggio o uno svantaggio tale da rendere superflua la sua presenza. Trump continua a organizzare comizi in Texas o in Mississippi, dove la sua vittoria è praticamente certa, ma almeno ha smesso di frequentare posti come il Connecticut e il Maine, dove la sua sconfitta è altrettanto sicura, e ha annullato tre comizi previsti per i prossimi giorni nello stato di Washington, in Colorado e in Oregon. Questa è una storia che va avanti da tempo: a primarie Repubblicane ampiamente vinte, Trump ha passato una settimana a fare campagna elettorale in California, dove perderà sicuramente, invece che dedicarsi agli stati in bilico e soprattutto ai quattro posti dove deve vincere per forza: Ohio, Florida, Pennsylvania e North Carolina. Inoltre, mentre Clinton dorme in albergo tra una tappa e l'altra, Trump quasi ogni sera torna con il suo aereo a New York a dormire nel suo letto: uno spreco di tempo assurdo, e il tempo in una campagna elettorale è l'unica risorsa che i candidati hanno in parti uguali e che non possono comprare.
Poi ci sono le cose che non stanno cambiando. Anche il nuovo Trump continua a
insultare i giornalisti e
dire cose improbabili. E questa settimana ha organizzato un comizio e una raccolta fondi in Mississippi – vedi sopra – insieme a Nigel Farage, il capo dell'UKIP, il partito di estrema destra britannico.
Hillary Clinton ha cercato di approfittarne e, anche per impedire a Trump qualsiasi operazione di
rebranding, ha pronunciato un discorso particolarmente duro nel quale ha associato Trump alla cosiddetta "
alt-right", che sta per "alternative right", la nuova estrema destra americana misogina, razzista e complottista che è forte soprattutto su internet ed è diventata popolare e influente anche grazie al successo di testate online come
Breitbart, il cui capo è il nuovo capo del comitato elettorale di Trump. «Un uomo con una lunga storia di discriminazioni razziali, che smercia teorie del complotto provenienti dai tabloid o dai punti più oscuri di internet», ha detto Clinton, «non dovrebbe mai guidare il nostro governo e il nostro esercito». Il testo integrale del discorso
è qui; subito dopo è stato diffuso
uno spot che lega Trump ai suprematisti bianchi, ai neonazisti e al Ku Klux Klan.
Torniamo a quello che dicevamo prima, allora. In una campagna elettorale normale, se accusi il tuo avversario di legami ideologici con il Ku Klux Klan e i neonazisti, possono succedere solo due cose: o la tua gravissima accusa non ha fondamento, e allora ti sei fatto male da solo coprendoti di ridicolo; o la tua gravissima accusa è fondata e allora di che stamo a parla', come dicono quelli. Per capire se questa accusa è fondata o no,
basti sapere che non un solo importante dirigente REPUBBLICANO ha difeso Trump dopo il discorso di Clinton. Quindi? Quindi così come l'improbabile candidatura di Trump oggi è in qualche modo tenuta in piedi dai grossi problemi di Clinton, per quanto si trovi in grande difficoltà, anche la candidatura di Clinton oggi si può considerare favorita e probabilmente vincente in buona parte a causa della terribile inadeguatezza di Trump.
Un appuntamento
Ci vediamo mercoledì 31 agosto alle 18.30 alla festa dell'unità di Milano, per parlare di elezioni americane insieme a Lia Quartapelle.