Ci sono molte cose che si possono fare per ridurre l'astensionismo e portare le persone a votare, a parte impegnarsi nel rituale piagnisteo del dire contriti "ha vinto il partito del non voto" tra una proiezione e l'altra. Per esempio: si può rendere l'atto di votare un po' più facile. D'altra parte è un diritto e dovere di suprema importanza e ne va della pienezza della democrazia, no? L'idea che nel 2016 per votare ci si debba portare fisicamente in un unico posto ben preciso della città in cui si risiede, per giunta in una fascia oraria ben precisa di un giorno ben preciso, è ridicola. E se vivo in una città diversa da quella in cui risiedo e non ho voglia, tempo, soldi o modo di tornare indietro? E se per qualsiasi motivo non posso uscire di casa? Se sono all'estero per un po'? Eccetera.
Siccome non c'è cosa meno americana del piagnisteo, negli Stati Uniti hanno reso più facile votare. Si può votare per posta, per esempio. E soprattutto, in 37 stati si può votare in anticipo. Da ieri si può votare in South Dakota, in Iowa e in Minnesota, da oggi in New Jersey, dalla settimana prossima nel Vermont. Dal 7 ottobre in Nebraska, dal 9 in Maine, dal 12 in Arizona, Indiana e Montana, dall'11 in New Mexico, dal 12 in Ohio, dal 17 in Georgia, dal 19 in Kansas, Tennessee e Oregon, nello stesso periodo si potrà votare anche in California, dal 22 in Nevada, dal 24 in Alaska, Arkansas, Colorado, Illinois, Massachusetts e Texas, nei giorni successivi in Florida, Louisiana, Maryland, Oklahoma, Utah, eccetera.
Nel 2012 il 30 per cento degli elettori statunitensi votò prima del giorno delle elezioni. Questo vuol dire, tra le altre cose, che quello che succede in campagna elettorale da adesso in poi conta molto di più. Le persone stanno già votando: le elezioni del presidente degli Stati Uniti sono oggi, sono domani, sono dopodomani e ogni giorno fino all'8 novembre.

Hillary Clinton meets The Avengers. Difficile fare uno spot migliore di questo per portare la base del Partito Democratico a votare.
Cosa è successo dopo il dibattito?
Che il confronto tv lo avesse vinto Hillary Clinton è stato chiaro da subito. I sondaggi sulle reazioni degli spettatori lo hanno confermato senza eccezioni (quelli veri, non quelli farlocchi messi in giro da Trump). Lo ha fatto capire poi lo stesso Trump quando ha detto di esserci andato piano apposta e ha raccontato che aveva problemi al microfono ( anche se qualcosa di vero c'è). Lo stanno dicendo anche i sondaggi nazionali e statali, e di questo parliamo più avanti. Col passare dei giorni, però, è diventata evidente soprattutto un'altra cosa: che Trump – per vanità, per inesperienza e per impreparazione – è caduto in tutte le trappole che gli ha teso Hillary Clinton.
Quando Clinton lo ha accusato di essersi arricchito grazie alla crisi economica, Trump ha risposto: «Si chiamano affari». Quando Clinton lo ha accusato di aver pagato zero dollari in tasse federali, Trump ha risposto: «Perché sono furbo». Quando Clinton lo ha accusato di aver insultato un'attrice, Trump ha detto: «Se l'è meritato». Ognuna di queste cose è un potenziale spot (Hillary ieri: «Se non pagare le tasse lo rende furbo, noi che le paghiamo cosa siamo?») ma la trappola più grande in cui Trump è caduto non è nessuna di queste: è la storia di Alicia Machado.
Quello che si dice un piano ben eseguito.
In una delle ultime risposte del dibattito, Clinton ha raccontato brevemente la storia di Alicia Machado, miss Universo nel 1996, quando il concorso era organizzato da Donald Trump. Machado ingrassò dopo la vittoria e Trump la insultò e umiliò più volte, chiamandola «Miss Piggy», costringendola ad andare in palestra seguita dalle telecamere, dicendo cose tipo «si mangerebbe la palestra intera», definendola «massa di lardo» e «macchina da cibo». Machado diventò anoressica e bulimica. Quando Clinton ha parlato di Machado al dibattito, Trump ha reagito come farebbe il cattivo di un film per bambini: «Dove hai trovato questa storia? Dove hai trovato questa storia?».
Come era già successo all'epoca degli insulti alla famiglia Khan, invece di chiudere la faccenda il prima possibile Trump l'ha tenuta aperta per giorni facendosi del male. La mattina dopo il dibattito è intervenuto a Fox News e i giornalisti in studio gli hanno chiesto di Machado per dargli modo di chiudere la questione. Lui invece ha detto: «È stata la peggior miss Universo che abbiamo avuto. La peggiore. La peggiore. Era impossibile. Aveva preso tantissimi chili ed era un problema».

Le facce dei conduttori in studio mentre parlava Trump dicono tutto.
Nel frattempo il comitato Clinton aveva già preparato un video con la storia di Machado, aveva concordato un servizio fotografico con Cosmopolitan e un'intervista con il Guardian: ma la storia aveva gambe per camminare da sola e infatti è stata ripresa da testate molto influenti tra le donne e i latinoamericani, per esempio Telemundo e Univision, oppure lo Hollywood Reporter e People. Il voto dei latinoamericani da solo può decidere molto in posti come la Florida, il Nevada, il Colorado, l'Arizona. Il voto delle donne – che di solito premia i Repubblicani, e quest'anno non dovrebbe – può decidere tutto.
Ma Trump non si è fermato qui. Nella notte tra giovedì e venerdì ha preso il telefono e ha cominciato a scrivere cose furiose e sconnesse su Twitter, dalle tre alle cinque del mattino. A un certo punto ha invitato le persone a guardare un presunto e inesistente video porno di Alicia Machado, insinuando che Clinton l'abbia aiutata a ottenere la cittadinanza statunitense così che potesse usare la sua storia nel dibattito. Il fatto che il comitato Clinton organizzi trappole così sofisticate mentre il comitato Trump non sia ancora riuscito a impedire al suo candidato di incazzarsi su Twitter alle tre del mattino come uno sciroccato qualsiasi – non c'è altro modo di dirlo – è una buona fotografia della campagna elettorale.
Probabilmente non è finita. I collaboratori di Donald Trump evidentemente non riescono a tenerlo. Alcuni collaboratori del suo comitato sembrano usare le interviste per fargli arrivare dei messaggi. Il suo ego gli impedisce di accettare qualsiasi critica senza cercare ritorsioni e vendette. Ha capito di aver perso il dibattito ed è convinto di aver perso perché ci è andato troppo piano e non perché era clamorosamente impreparato ( leggete qui). Ha già detto che intende accusare Hillary Clinton per aver tollerato le infedeltà di suo marito Bill, cosa che probabilmente spingerà altri elettori a solidarizzare con Hillary, come è sempre successo in questi casi in passato (Hillary durante il caso Lewinsky raggiunse il suo più alto livello di popolarità). E il prossimo dibattito, 9 ottobre, sarà quello con le domande del pubblico.
Cosa è successo ai sondaggi
È stato il dibattito tv più visto di sempre: 86 milioni solo in tv, più di 100 contando anche gli streaming online. E quindi qualcosa si è mosso: Clinton è data avanti in tutti i sondaggi realizzati dopo il confronto in posti pesanti come Florida, New Hampshire, North Carolina, Virginia, Colorado, Pennsylvania, Nevada e Michigan. Anche nella media dei sondaggi nazionali Clinton è passata da un vantaggio di 1,5 punti percentuali a 3 punti circa, e cioè ha potenzialmente più opzioni di prima per arrivare ai 270 grandi elettori necessari a vincere le elezioni. Non è detto che questo rimbalzo duri, naturalmente: dipenderà da quello che succederà nei prossimi giorni. Ma intanto la rimonta di Donald Trump si è interrotta.
Cosa aspettarsi dal dibattito tra i vice
La notte tra il 4 e il 5 ottobre sarà la volta di Tim Kaine e Mike Pence, i candidati alla vicepresidenza. Sarà un dibattito normale tra due politici normali, probabilmente persino noioso, anche perché in questi casi per tutti la priorità è non fare errori: ma si parlerà di politica e proposte più di quanto sia successo tra Clinton e Trump, probabilmente, e sia Kaine che Pence sono due che un giorno potrebbero candidarsi alla Casa Bianca. Io lo vedrò e lo commenterò in diretta su Twitter, poi di mattina presto articolo sul Post ed edizione speciale della newsletter.
Una cosa a cui tengo
Domenica 2 ottobre su Raitre dopo Che tempo che fa andrà in onda la prima puntata di La Casa Bianca, una serie di mini-documentari sulle elezioni e soprattutto gli elettori statunitensi, condotti da Iman Sabbah, girati da Giulia Cerino, Francesca Molteni e Antonello Savoca, diretti da Andrea Salvadore con testi scritti da me. Se lo guardate sono contento; se mi fate sapere cosa ne pensate, pure.
Quando ci vediamo?
Lunedì 3 ottobre alle 18 a Milano all'università Bocconi, mercoledì 5 ottobre alle 21 a Busto Arsizio da BYRA e venerdì 7 ottobre alle 20.30 a Torino con Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti di YouTrend. Seguiranno Bologna, Forlì, di nuovo Milano e Torino: i dettagli li troverete qui sulla newsletter oppure sulla pagina Facebook. Grazie a chi è venuto agli incontri delle scorse settimane: soprattutto a Roma eravate tantissimi. Ciao!
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