Se siete iscritti a questa newsletter da un po', sapete ormai che questa campagna elettorale americana non somiglia a nessuna campagna elettorale americana del recente passato. Credetemi, però: persino in una campagna elettorale così la settimana appena finita spicca per assurdità e intensità delle cose che sono successe. Il tutto quando tra pochi giorni si vota in Wisconsin, uno degli stati più influenti e rappresentativi tra quelli da cui devono ancora passare le primarie.
I nostri prossimi appuntamenti, prima di cominciare: ci vediamo il 5 aprile a Padova, l'11 aprile a Milano, il 26 aprile a Torino, il 28 aprile a Verona e il 30 aprile a Mantova. I dettagli sono nei link; dove non ci sono i link, arriveranno presto (e li troverete qui).
Una tranquilla settimanina di paura tra i Repubblicani
Qualche settimana fa una giornalista – di una testata online molto pro-Trump – aveva accusato il campaign manager di Trump, una specie di bullo di periferia che si chiama Corey Lewandowski, di averla afferrata per il braccio e strattonata mentre faceva una domanda al candidato alla fine di un comizio. Diversi giornalisti presenti avevano confermato di aver visto quanto era successo. Lewandowski aveva detto – e aveva scritto su Twitter – che la giornalista, che si chiama Jessica Fields, delirava e si era inventata tutto, e che lui anzi non l'aveva mai vista. Fields ha sporto denuncia, i poliziotti hanno acquisito il video girato dalle telecamere a circuito chiuso, che poi è arrivato online: e mostra evidentemente Lewandowski afferrare il braccio di Fields e strattonarla all'indietro. Lewandowski è stato formalmente accusato di "battery", un reato che non ha un immediato omologo italiano ma che vuol dire, in pratica: contatto fisico indesiderato e minaccioso.
Un altro candidato si sarebbe affrettato a chiudere il caso: licenziare Lewandowski, chiedere scusa a Fields, andare avanti. Trump ha difeso Lewandowski, ha continuato a sostenere – anche davanti al video! – che non c'era stata nessuna aggressione e ha detto anzi che Fields stava minacciando la sua incolumità perché impugnava... una penna. «Poteva essere una piccola bomba», ha detto, portando verso vette mai toccate il significato dell'espressione "faccia-come-il-culo".
Seriamente?!
Pochi giorni dopo Trump ha detto in tv che l'aborto andrebbe reso illegale – con poche eccezioni – e che le donne che cercano di abortire dovrebbero essere «punite in qualche modo». Persino molti militanti conservatori e anti-abortisti di professione sono inorriditi. Trump allora ha detto di essersi espresso male e in una specie di goffo comunicato riparatorio ha detto che dovrebbero essere puniti i medici che praticano le interruzioni di gravidanza. Il tutto, vi ricorderete, è successo peraltro a pochi giorni dalle minacce di Trump alla moglie di Cruz e dagli attacchi per via del suo aspetto. Poi: Trump si è rimangiato la promessa di sostenere il vincitore delle primarie Repubblicane, se non dovesse essere lui, aprendo alla possibilità di una candidatura da indipendente a novembre; e ha detto che non sarebbe un grosso problema se Corea del Sud, Giappone e Arabia Saudita si dotassero della bomba atomica; e si è fatto dare del "bambino di cinque anni" da uno dei più famosi giornalisti televisivi americani.
La candidatura di Trump fin qui ha sfidato la legge di gravità, ma queste cose hanno delle conseguenze: se non ce le hanno tra i militanti Repubblicani, che sono sempre di meno e sempre più estremisti, ce le hanno con gli altri. Dai sondaggi di questa settimana viene fuori che il 47 per cento delle donne REPUBBLICANE non riesce a immaginare di votare per Trump; che in assoluto il 70 per cento delle donne statunitensi ha una cattiva opinione di Trump e solo il 23 per cento ne ha una positiva; che il 65 per cento degli elettori che si definiscono indipendenti hanno una cattiva opinione di Trump, insieme con l'85 per cento degli elettori di origini latinoamericane e l'80 per cento degli elettori giovani. Tutto considerato, Trump oggi non piace al 67 per cento degli elettori americani: se ottenesse la nomination sarebbe il candidato più impopolare da quando esistono i sondaggi politici negli Stati Uniti.
Questa situazione, peraltro, non danneggia solo lui: parlando dell'aborto dopo le dichiarazioni di Trump, infatti, molti hanno fatto notare che le posizioni di Ted Cruz e John Kasich non sono poi così diverse da quelle di Trump – quelle di Cruz sono persino più radicali di quelle di Trump, dato che lui lo vieterebbe anche nei casi di stupro e incesto.
Ma proseguiamo con la settimanina dei Repubblicani. Ted Cruz ha detto in tv che «se fossi in macchina, con la retromarcia ingranata, e vedessi Trump nello specchietto retrovisore, non so che pedale userei». Nel frattempo ha preso piede un pettegolezzo – del quale non ci sono prove, al momento, ma che fa parlare molto gli addetti ai lavori – secondo cui Cruz avrebbe avuto relazioni extra-coniugali con cinque donne e una di queste sarebbe Katrina Pierson, attuale portavoce di Trump, in passato collaboratrice di Cruz. Dicono persino che ci sarebbe un video. Probabilmente è fuffa, ma anche questo è utile per capire che tipo di clima ci sia oggi nel partito.
Per chiudere questo capitolo con una cosa più leggera: il caso pizza. John Kasich è stato fotografato mentre mangiava una pizza con forchetta e coltello ed è stato criticato online (lui si è difeso dicendo che scottava). Anche sulla pizza, però, il primato dell'immoralità spetta a Donald Trump.

Anche i Democratici bisticciano
Niente di lontanamente paragonabile al circo dei Repubblicani, ma anche nella campagna elettorale dei Democratici il clima negli ultimi giorni è peggiorato. Bernie Sanders la settimana scorsa ha vinto i caucus nello stato di Washington, alle Hawaii e in Alaska, ma come sapete le primarie le vince non chi ottiene più stati ma chi ottiene più delegati: e su quel fronte ha ancora un distacco notevolissimo, che ha soltanto intaccato. Le vittorie hanno comunque galvanizzato Sanders e i suoi, che hanno raccolto oltre 40 milioni di dollari in finanziamenti elettorali a marzo (un numerone) e non stanno ammorbidendo i loro toni verso Hillary Clinton: anzi.
Diversi giornalisti hanno notato che Sanders durante i comizi non ferma più i suoi sostenitori quando fischiano Hillary Clinton, come faceva fino a qualche settimana fa. Gli attacchi sull'Iraq e i rapporti con Wall Street si sono fatti più intensi. Un'attivista di Greenpeace ha intercettato Clinton alla fine di un comizio e le ha chiesto perché non rifiuta i finanziamenti elettorali dall'industria del petrolio e del carbone. Clinton si è infuriata e non ha tutti i torti: i dati dicono che ha ricevuto dai dipendenti di quel settore – quindi non solo imprenditori: anche semplici impiegati – lo 0,15 per cento dei suoi finanziamenti, contro lo 0,4 di Sanders. È piuttosto azzardato dire che lo 0,4 per cento sarebbe esempio di rettitudine mentre lo 0,15 per cento di sottomissione alle lobby – specie quando ci sono candidati Repubblicani che hanno avuto anche il 25 per cento dei loro fondi dal settore delle energie non rinnovabili. «Sono stufa delle bugie che la campagna di Sanders usa contro di me», è sbottata Clinton, che ha rifiutato l'invito a fare un nuovo dibattito televisivo finché Sanders non darà una calmata ai suoi (sullo stesso filone, Susan Sarandon ha detto che forse voterebbe Trump e non Clinton perché così almeno ci sarebbe «una rivoluzione». EHM).
Questa è forse la cosa più bella che possa capitare a un candidato durante un comizio. Lucky Bernie.
E ora arrivano le primarie in Wisconsin
Si vota il 5 aprile. I Democratici mettono in palio 86 delegati con metodo proporzionale, i Repubblicani invece 42 con metodo maggioritario (ma una parte collegio per collegio, una parte sul totale statale). Non sono numeri in grado di cambiare il volto della corsa, ma questo non rende meno importanti queste primarie: il Wisconsin è uno stato particolarmente influente e delicato dal punto di vista politico.
È uno stato del Midwest, nella regione dei Grandi laghi. La sua città più grande e famosa è Milwaukee, ma la sua capitale è Madison (meraviglie della geografia politica statunitense). È uno stato popolato in gran parte da bianchi, classe operaia e classe media messa in grande difficoltà dalla crisi economica: il segmento elettorale su cui Trump e Sanders hanno costruito il grosso delle loro fortune politiche in questa campagna elettorale. Il Wisconsin alle presidenziali vota per il candidato Democratico ininterrottamente dal 1988 – e Obama nel 2012 vinse da quelle parti nonostante Mitt Romney avesse scelto come vice un importante politico del Wisconsin, il deputato Paul Ryan, oggi speaker della Camera. Storicamente, è uno stato con una sinistra radicale molto radicale (Milwaukee ha una forte presenza socialista, come era socialista un suo storico sindaco), e una destra radicale molto radicale (Joe McCarthy, quello del "maccartismo", era del Wisconsin).
Dal punto di vista locale, però, il Wisconsin negli ultimi anni si è spostato a destra; e tra il 2011 e il 2012 si è trovato al centro di un caso politico di grande rilevanza. Il governatore Scott Walker – Repubblicanissimo, eletto a sorpresa un anno prima – decise di fare grossi tagli nel settore pubblico e abolire la contrattazione collettiva per i dipendenti dello stato (il Wisconsin, che ha dei sindacati molto forti e influenti, fu il primo stato americano a introdurre la contrattazione collettiva per i dipendenti pubblici). Ci furono mesi di proteste durissime che furono raccontate anche fuori dagli Stati Uniti, occupazioni del Congresso locale, scioperi e tensioni, finché la legge non fu approvata. Tra le altre cose, 1.500 dipendenti pubblici furono licenziati; moltissimi altri si videro tagliati benefit e stipendi.
I Democratici raccolsero allora più di un milione di firme per approfittare di una legge che permette di indire una "recall election": un'elezione anticipata su richiesta popolare. Si tenne a giugno, fu la terza "recall election" nella storia degli Stati Uniti e soprattutto fu la prima a fallire. Walker vinse, e persino con un margine più alto della sua prima elezione del 2010: nel frattempo era diventato un personaggio politico nazionale. Nel 2014 ha ottenuto una rielezione relativamente comoda, e anche se quest'anno la sua candidatura alle primarie Repubblicane è stata un fallimento, continua a essere piuttosto popolare tra i Repubblicani del suo stato. Walker pochi giorni fa ha dato il suo sostegno ufficiale a Ted Cruz.
Cosa dicono i sondaggi
Tra i Repubblicani, giorno dopo giorno i sondaggi hanno segnalato l'erosione dei consensi di Trump, che qualche settimana fa era in vantaggio mentre oggi sembra sotto Cruz (addirittura di 10 punti, secondo un istituto statistico). L'algoritmo del giornalista statunitense Nate Silver dice che Cruz ha il 94 per cento di possibilità di vincere. Una sconfitta per Trump ovviamente non sarebbe decisiva, ma sarebbe la conferma del momento difficile della sua campagna, che fin qui negli stati più simili al Wisconsin era andata molto bene.
Tra i Democratici i sondaggi danno Sanders avanti di poco, e Nate Silver dice che ha il 57 per cento di possibilità di vincere. Insomma la corsa sembra aperta, ma secondo me alla fine vincerà Sanders: la demografia dello stato lo favorisce (alle primarie del 2008 nove elettori su dieci erano bianchi) e ha già ottenuto vittorie in due stati che confinano col Wisconsin, il Michigan e il Minnesota. Dato però che conta chi ottiene più delegati, vincere con un piccolo margine per Sanders non cambierebbe moltissimo: la distribuzione proporzionale dei delegati lascerebbe il suo svantaggio pressoché invariato. Sanders ne otterrebbe però ulteriore spinta ed energia per puntare ai prossimi bersagli grossi, quelli in cui deve vincere – anzi, stravincere – se vuole restare in piedi: New York (247 delegati, si vota il 19 aprile), e poi Pennsylvania, Maryland, Connecticut, Rhode Island e Delaware (che votano tutti il 29 aprile e mettono in palio 384 delegati).
Cose da leggere
– The Case for Vice President Al Franken, di Bill Scher su Politico
– How Clinton’s email scandal took root, di Robert O'Harrow Jr. sul Washington Post
– Bernie's math: Improbable, not impossible, di Steven Shepard su Politico
– This may shock you: Hillary Clinton is fundamentally honest, di Jill Abramson sul Guardian
Hai una domanda?
Scrivimi a costa@ilpost.it oppure rispondi a questa email, che poi è la stessa cosa.
Spread the word
Se quello che hai letto ti è piaciuto, consiglia a un amico di iscriversi alla newsletter oppure inoltragliela.
|