Questa newsletter vi arriva mentre sono in aeroporto, sul punto di partire per gli Stati Uniti: anche grazie alla vostra strepitosa risposta alla raccolta fondi dello scorso febbraio, andrò a seguire la convention del Partito Repubblicano a Cleveland, in Ohio, dal 18 al 21 luglio, e poi quella del Partito Democratico a Philadelphia, in Pennsylvania, dal 25 al 28 luglio. Sono emozionato e contento.
Regole d'ingaggio, quindi. Nelle prossime due settimane la frequenza dei podcast e delle newsletter cambierà e diventerà più intensa. Uscirà un podcast la prossima settimana e un altro la successiva, intanto. E newsletter ne arriveranno due alla settimana, se tutto andrà secondo i piani: una il venerdì, subito dopo la fine di ogni convention, a caldo; un'altra la domenica, più di approfondimento. Niente newsletter del sabato, quindi, ma solo per queste due settimane. Di tanto in tanto cercherò di fare anche qualche breve diretta su Periscope e su Facebook Live, per mostrarvi qualcosa, raccontarvi una storia o rispondere a un po' di domande. Sul Post, poi, scriverò dell'andamento quotidiano delle convention; e se proprio non ne avete abbastanza ci sono i miei account su Facebook, su Twitter e su Instagram, dove pubblicherò foto, link e pensieri più brevi. Fine delle comunicazioni di servizio.

Una scena dalla convention Democratica nella sesta stagione di The West Wing, per entrare in clima partita.
Abbiamo il vice di Donald Trump
Ed è Mike Pence, governatore dell'Indiana. Era uno dei nomi che era circolato di più nelle scorse settimane, ne avevamo parlato anche in un paio di newsletter, e da un paio di giorni la sua nomina sembrava scontata: ma è avvenuta in un modo piuttosto rocambolesco. Prima è stata anticipata dai giornali. Poi Trump ha detto che avrebbe annunciato il nome del suo vice venerdì alle 17 ora italiana. Poi c'è stato, come sapete, l'attentato di Nizza. Trump allora ha detto che avrebbe rinviato l'annuncio, per rispetto (e per non rinunciare alle attenzioni dei media, anche, che venerdì erano concentrate altrove). Nel frattempo qualcuno sui giornali – imbeccato da un paio di fonti – ha cominciato a sospettare che Trump avesse cambiato idea su Pence e ci stesse ripensando. Alle 17 di venerdì, rimangiandosi il rinvio, Trump ha annunciato su Twitter di aver scelto Mike Pence. Poi c'è stato il tentato colpo di stato in Turchia. Trump ha nominato chi?
I fatti di Nizza e della Turchia non erano preventivabili, ma sembra che almeno l'annuncio della nomina di Pence sia stato una decisione un po' improvvisata, come ha notato Politico. Di solito la nomina del vice è un momento preparato alla perfezione dalle campagne elettorali, ma in questo caso Trump ha fatto confusione: al momento dell'annuncio sul sito di Trump non c'era nessun riferimento a Pence, sul sito di Pence non c'era nessun riferimento a Trump, i comunicati stampa con la biografia di Pence per i giornalisti non sono arrivati, le classiche email per la raccolta fondi nemmeno, nessuno si è preoccupato delle ricerche su Google. Un ulteriore segnale di disorganizzazione da parte di un comitato elettorale che continua a lavorare come nessun altro comitato elettorale del passato, sfidando la forza di gravità (fin qui ha funzionato, bisogna dire). Ma veniamo alle cose più sostanziose: chi è 'sto Pence?

Il nuovo logo della campagna elettorale di Trump, che ha già suscitato molte ironie.
Mike Pence – 57 anni, una moglie, tre figli – è il governatore Repubblicano dell’Indiana, eletto nel 2013. Prima di fare il governatore ha fatto il deputato per dodici anni. In estrema sintesi: è uno molto di destra ma anche a tutti gli effetti parte dell’establishment del Partito Repubblicano. È laureato in Legge ed è un politico ortodosso e tradizionale – non ha nessuno dei tratti sovversivi di Trump – con posizioni molto conservatrici, soprattutto sui temi sociali, e per questo è molto apprezzato dall’ala più estrema del partito e dalla corrente dei cosiddetti Tea Party: è contrario all’aborto, ai matrimoni gay, all’aumento delle tasse e alle restrizioni sulle armi.
L’ultima ragione in ordine di tempo per cui si è parlato di Pence fuori dall’Indiana è una controversa legge sull'”obiezione religiosa” che permette per esempio ai negozianti cristiani di rifiutarsi di servire clienti omosessuali senza per questo essere accusati di discriminazione. La legge, approvata e firmata da Pence a marzo, ha provocato le proteste di moltissimi cittadini e associazioni e di grandi aziende e marchi come Apple, NBA e Yelp, costringendo Pence a promuoverne una parziale revisione e scrivere sul Wall Street Journal un editoriale chiarificatore («Se vedessi il titolare di un ristorante rifiutarsi di servire una coppia gay, smetterei di andarci a mangiare»). L’intera carriera politica di Pence è fatta di storie e polemiche come questa, comunque: Pence è antiabortista al punto da aver approvato una legge che rende obbligatori i funerali dei feti abortiti. In passato ha ricevuto molti finanziamenti elettorali dall’industria del tabacco, e una volta ha scritto su un giornale che «il fumo non uccide».

Mike Pence è fatto così.
Trump ha fatto bene a sceglierlo?
Chiunque oggi pensi di avere una risposta certa a questa domanda meriterebbe di essere ascoltato con un certo scetticismo. Non ci sono ragioni per essere certi che Pence sia la scelta sbagliata come la scelta giusta: possiamo al massimo provare a elencare i pro e i contro. I vantaggi potenziali: la nomina di Pence potrebbe addolcire un po' l'establishment del Partito Repubblicano, che notoriamente non adora Trump, e la sua ala più religiosa, soprattutto i gruppi evangelici, che fin qui ha fatto fatica a sentirsi rappresentata da un miliardario newyorkese con tre mogli e un certo gusto per la volgarità. Inoltre, Pence ha un passato da conduttore radiofonico di successo ed è un abile oratore, anche se ogni tanto un po' posticcio: potrebbe tornare utile per attaccare Clinton e cavarsela bene al dibattito televisivo contro il o la vice di Hillary Clinton. Il rischio potenziale è soprattutto uno: ma siamo sicuri che i Repubblicani – e gli elettori in generale – volessero un politico tradizionale come vice di Trump?
Qui è utile fare un piccolo passo indietro. Storicamente, nello scegliere il loro vice i candidati alla presidenza possono utilizzare due approcci. Ne abbiamo parlato qualche newsletter fa. Ci sono i vice scelti perché compensano quelli che sono visti come potenziali punti deboli del candidato presidente: Obama (nero e inesperto) scelse Biden (bianco ed espertissimo), McCain (serio, moderato e anzianotto) scelse Palin (giovane e fuori di testa). Ma ci sono anche i vice scelti perché confermano e rafforzano l'identità del candidato: Clinton (giovane, meridionale, centrista) scelse Gore (giovane, meridionale, centrista). Questi fattori naturalmente possono anche parzialmente mescolarsi – e se il candidato vice viene da uno stato in bilico, meglio ancora ( l'Indiana non dovrebbe esserlo). La scelta di Pence da parte di Trump è più compensativa che rafforzativa.
Ora, è possibile sostenere che la nomina di Pence annacqui i punti di forza di Trump. Se Trump è arrivato fin qui proprio per via del suo essere esuberante e anti-establishment, un noioso politico dell'establishment potrebbe indebolirlo. Occhio, però, che è possibile sostenere il contrario: che come il ticket Obama-Biden ha funzionato a meraviglia, senza che il secondo annacquasse le qualità del primo, anche il ticket Trump-Pence trovi un suo efficace equilibrio. E non vale la pena, secondo me, nemmeno soffermarsi troppo sulle opinioni diverse tra i due (ce ne sono: sulla guerra in Iraq, sugli accordi di libero scambio, sul divieto di ingresso nel paese per i musulmani, sul welfare). Discrepanze del genere sono normali in queste campagne elettorali, se i candidati sono bravi – è un se importante, eh? – le rendono innocue in poco tempo.
Perché Pence ha accettato?
In questi mesi diversi politici Repubblicani hanno preferito evitare di essere associati a Donald Trump, convinti che avrebbe danneggiato i loro consensi attuali e le loro prospettive future di carriera: alcuni importanti senatori e governatori hanno detto esplicitamente di non essere interessati a fare il vice di Trump, altri non andranno nemmeno alla convention di Cleveland. Una delle ragioni per cui Pence si è mostrato interessato all’incarico – secondo alcuni persino troppo – è che la sua campagna elettorale per la rielezione a governatore dell’Indiana sta andando piuttosto male.
Pence non è popolarissimo nel suo stato, e dovesse mancare la rielezione a governatore la sua carriera politica sarebbe praticamente finita. Accettando la proposta di fare il vice di Trump, Pence si è ritirato da quella campagna elettorale – i Repubblicani dovranno trovare un altro candidato – e per quasi quattro mesi avrà la possibilità di accrescere molto la sua popolarità. Se Trump dovesse vincere le elezioni, Pence diventerebbe il secondo politico più potente del paese; ma anche se Trump dovesse perdere, i danni per Pence potrebbero essere minimi: una sconfitta di Trump sarebbe appunto una sconfitta di Trump, e solo in minima parte di Pence. D’altra parte Paul Ryan era il candidato vice di Mitt Romney nel 2012: oggi è lo speaker della Camera, cioè il Repubblicano più alto in grado al Congresso. Win-win. Vediamo come se la cava alla convention intanto.

Altro spot brutale di Hillary Clinton contro Donald Trump.
E quindi, 'ste convention?
Durano quattro giorni l'una, dal lunedì al giovedì. Si comincia con quella dei Repubblicani. I lavori si tengono nel pomeriggio e di sera. Di pomeriggio la parte più "congresso di partito": interventi, voti, mozioni, tavoli tematici, eccetera. Di sera la parte più divertente e spettacolare, a vantaggio delle tv che trasmettono tutto in diretta.
Alla convention dei Repubblicani mancheranno tutti i pezzi grossi del partito – gli ex presidenti Bush, Jeb Bush, Mitt Romney, Marco Rubio, John McCain, etc – ma parleranno tra gli altri lo speaker della Camera Paul Ryan, l'ex quarterback Tim Tebow, la governatrice dell'Oklahoma Mary Fallin, la senatrice dell'Iowa Joni Ernst, l'ex sindaco di New York Rudy Giuliani, il governatore del Wisconsin Scott Walker, il senatore del Texas – ed ex sfidante di Trump – Ted Cruz. E poi mezza famiglia Trump, a cominciare dalla moglie Melania. Durante i lavori l'assemblea dei delegati sceglierà formalmente Donald Trump come candidato del partito, e sarà lui a chiudere la convention col discorso di giovedì sera.
La convention dei Democratici ha un'agenda di tutt'altro livello: Michelle Obama e Bernie Sanders il lunedì, Bill Clinton il martedì, Barack Obama e Joe Biden il mercoledì, Hillary Clinton il giovedì. In mezzo ci saranno anche Elizabeth Warren, Julian Castro, Tim Kaine e gli altri potenziali candidati alla vicepresidenza. E concerti di Lady Gaga e Lenny Kravitz.
Qualcuno di voi probabilmente si chiederà, giustamente: ma se le convention sono solo uno show, e le cose politiche sono già tutte decise, spostano qualcosa? La risposta è potenzialmente sì. Storicamente i candidati vedono crescere il loro gradimento nei sondaggi nei giorni successivi alla convention, il cosiddetto "convention bounce". Si tratta comunque di quattro giorni in cui gli elettori americani sono esposti a una lunghissima e sofisticata operazione di persuasione politica, mentre i giornali non parlano d'altro: tutto questo funziona. In molti casi questo rimbalzo nei sondaggi rientra entro qualche giorno: non è che le elezioni si vincono con la convention. Ma altre volte le convention possono essere un trampolino. Dall'altra parte, la grande attenzione degli elettori e dei media è un'arma a doppio taglio: se qualcosa va storto alla convention, va VERAMENTE storto. Se ci fossero proteste e scontri, per esempio, o caotiche litigate interne. Nessuno dei due partiti oggi è sicuro di scamparla, anzi: sul piano delle proteste c'è una certa preoccupazione ( ne parlavamo nella terza puntata del podcast).

Ah, ecco! Nel frattempo Bernie Sanders ha finalmente dato il suo sostegno ufficiale a Hillary Clinton. Un sostegno convinto, almeno a giudicare dal suo discorso.
I primi sondaggi dopo la decisione dell'FBI su Hillary Clinton e le email
Nella media nazionale Clinton ha perso un po'. Anche nei singoli stati Trump si è avvicinato. Vediamo quanto dura questa tendenza: le nomine dei vice e le convention possono cambiare moltissimo.
Ci sentiamo molto presto, io salgo sull'aereo. Ciao!
Cose da leggere
– Understanding Hillary: Why the Clinton America sees isn't the Clinton colleagues know, di Ezra Klein su Vox
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