La settimana scorsa abbiamo parlato di come la campagna elettorale per Donald Trump sia molto in salita: di come, cioè, al di là della sua fragorosa vittoria nelle primarie del Partito Repubblicano, un fenomeno demografico di proporzioni storiche – l'elettorato statunitense è composto da sempre meno bianchi, e i non bianchi votano sempre di più per i Democratici – renda particolarmente complicato per un candidato con le sue posizioni vincere l'8 novembre in un numero di stati sufficiente a ottenere 270 grandi elettori e quindi la presidenza degli Stati Uniti.
Questo non vuol dire che sia impossibile, come abbiamo detto. E un fatto di questa settimana permette di analizzare nel dettaglio come potrebbe avvenire la rimonta di Donald Trump.
Will McAvoy – quel Will McAvoy – su Donald Trump.
Il 10 maggio Bernie Sanders ha vinto le primarie del Partito Democratico in West Virginia. È un risultato che non cambia nulla di quella corsa – ha recuperato 7 delegati su Hillary Clinton, è ancora in vantaggio di quasi 300 – ma che contiene una storia politica molto interessante.
Il West Virginia è uno degli stati più conservatori degli Stati Uniti. Siamo giustamente abituati a pensare agli elettori di Sanders come agli elettori più di sinistra, ma in West Virginia la situazione è diversa: solo un elettore su cinque delle primarie vinte da Sanders si definisce "molto di sinistra". L'unico stato dove l'elettorato dei Democratici ha presentato simili caratteristiche era l'Oklahoma, altro posto molto ma molto di destra, e Sanders aveva vinto anche lì. In questi stati Sanders ha avuto la maggioranza dei voti degli elettori Democratici che si definiscono "moderati" se non addirittura "conservatori"; in Oklahoma ha avuto la maggioranza tra gli elettori Democratici che pensano che Obama sia stato "troppo di sinistra".
Com'è successa questa cosa? La risposta, in estrema sintesi, è questa del Washington Post.
«Molte persone in questi stati non hanno votato Sanders perché apprezzano il fatto che sia molto di sinistra. Hanno votato Sanders perché percepiscono la sua promessa di una 'rivoluzione politica' come una sfida e una contestazione a un sistema che li ha delusi»
Il West Virginia è uno stato con una robusta classe operaia. Minatori, operai del settore manifatturiero, artigiani, lavoratori quasi esclusivamente bianchi, che hanno sofferto moltissimo le conseguenze della crisi economica e che sono rimasti indietro quando l'economia statunitense è ripartita. Quando leggiamo che sono stati creati nuovi posti di lavoro, si tratta appunto di "nuovi posti di lavoro"; non sono necessariamente quelli vecchi che sono tornati. Vuoi perché poco qualificati, vuoi perché avanti con gli anni, vuoi perché lavoravano in un settore in difficoltà, queste persone non hanno riavuto indietro il loro posto di lavoro precedente, il loro status precedente, che già di suo non era eccezionale. Queste persone – come scrive il Washington Post – "hanno visto i loro stipendi stagnare, le loro opportunità di mobilità sociale sparire e la loro aspettativa di vita accorciarsi". Quello che gli piace in Bernie Sanders è che dice che il sistema è truccato e bisogna ribaltarlo. Vi vengono in mente altri candidati che usano questo tipo di retorica e piacciono molto agli elettori bianchi? Ecco.
Prendete la questione degli accordi commerciali internazionali. Negli ultimi vent'anni gli Stati Uniti hanno sottoscritto diversi di questi trattati di libero scambio con paesi di mezzo mondo – l'ultimo è il TPP con i paesi del Pacifico, mentre il TTIP con l'Unione Europea è ancora in discussione – convinti che la loro economia se ne sarebbe avvantaggiata: effettivamente così è stato per molto tempo. Quando però è arrivata la grande crisi, questi trattati si sono rivelati un'arma a doppio taglio: hanno permesso alle industrie americane di tagliare i costi esternalizzando con facilità interi rami aziendali; hanno permesso alle aziende straniere di esportare con facilità i loro beni negli Stati Uniti, esponendo le industrie americane a una concorrenza complicata da affrontare (erano beni magari di qualità più bassa ma sicuramente dai costi più bassi). Il risultato, in entrambi i casi: posti di lavoro persi, calo della domanda interna, altri posti di lavoro persi, eccetera. Questa cosa è successa molto soprattutto negli stati americani con la più grande presenza industriale: la cosiddetta "Rust Belt". Pennsylvania, West Virginia, Ohio, Indiana, Michigan, Illinois, Wisconsin.
Adesso arriva la parte interessante. Il Partito Repubblicano, che negli Stati Uniti è stato per decenni il partito liberista per eccellenza, ha sempre difeso e sostenuto con forza questi accordi commerciali; erano i Democratici che di tanto in tanto si opponevano o cercavano di porre limiti e criteri più stringenti. Oggi, però, la maggioranza degli elettori Repubblicani pensa che questi accordi commerciali sono stati una truffa, che paesi come il Messico e il Giappone hanno approfittato dell'ingenuità degli Stati Uniti e vanno puniti, che questi trattati sono stati negoziati da persone incapaci e hanno fatto il bene delle grandi aziende e non della gente comune, che bisogna rimettere in discussione tutto. Vi vengono in mente altri candidati che usano questo tipo di retorica e piacciono molto agli elettori bianchi? Ecco.
Questa è la strada che può portare Trump a vincere le elezioni presidenziali. È una strada stretta e complicata, ma esiste. Le primarie hanno mostrato che in quella parte di America gli elettori bianchi e di una certa età non apprezzano Hillary Clinton, che di trattati come il TPP è stata promotrice e architetta. E chi a queste primarie ha votato Sanders non perché si consideri una persona di sinistra e politicamente impegnata ma perché ne ha apprezzato il messaggio anti-sistema, l'avversione ai cosiddetti "poteri forti", può essere sedotto più facilmente da un candidato come Donald Trump che da una candidata come Hillary Clinton.
Bonus
Per anni Donald Trump parlando al telefono con i giornalisti si è finto un suo misterioso "agente", passando il tempo a elogiarsi in terza persona.

Sondaggi, sondaggi ovunque, aiuto!
Avete visto quel sondaggio secondo cui Trump è messo così male che rischia di perdere persino in Georgia?

E quello dove invece Trump è messo così bene che ha già rimontato lo svantaggio in Florida, Ohio e Pennsylvania?

E quello secondo cui su base nazionale Clinton e Trump sono praticamente pari?

Sono tutti sondaggi di questa settimana. Se siete confusi, avete la mia solidarietà. Vediamo di capirci qualcosa.
Primo: è presto. Guardate cosa dicevano i sondaggi di sei mesi fa e capirete perché prendere con moltissime molle i sondaggi che prevedono cosa accadrà fra sei mesi.
Secondo: i sondaggi nazionali alle elezioni statunitensi non valgono praticamente niente, a parte misurare in modo molto grossolano l'aria che tira. Il presidente degli Stati Uniti si elegge stato per stato, non su base nazionale. Nel 2012 nei sondaggi nazionali Obama e Romney erano praticamente alla pari, a pochi giorni dal voto alcuni dicevano persino che Romney era avanti: eppure Romney straperse. Perché il presidente degli Stati Uniti si elegge stato per stato.
Terzo: in questo momento da una parte c'è un candidato che non ha più avversari, e quindi sta iniziando a raccogliere nei sondaggi i consensi degli elettori che alle primarie avevano sostenuto qualcun altro; dall'altra parte c'è una candidata che ha quasi vinto le primarie ma non ancora vinto-vinto, e ha un avversario tosto, popolare, apprezzato e ben finanziato. Questa asimmetria non permette di considerare davvero affidabili nemmeno i sondaggi statali, per il momento.
Cosa fare con i sondaggi, quindi? Leggerli, perché sono utili a capire che aria tira. Non trarre conclusioni da un singolo sondaggio ma cercare dei trend, degli spostamenti confermati da più istituti e in più momenti. Aspettare il giorno dopo le convention estive per prendere i sondaggi davvero sul serio. Altrimenti finite per passare sei mesi come Kramer qui sopra, io ve lo dico.
Ci sentiamo sabato prossimo. Ciao!
Cose da leggere
– How Trump Will Try To Exploit Clinton's Weakness, di Francis Wilkinson su Bloomberg
– How Do You Debate Mr. Trump?, editoriale del New York Times
Hai una domanda?
Scrivimi a costa@ilpost.it oppure rispondi a questa email, che poi è la stessa cosa.
Spread the word
Se quello che hai letto ti è piaciuto, consiglia a un amico di iscriversi alla newsletter oppure inoltragliela.
|