«Questi dibattiti andranno visti perché saranno lo scontro politico, personale e intellettuale più estremo nella storia della democrazia americana. Emisfero destro del cervello contro emisfero sinistro; pancia contro testa; istinto contro calcolo; es contro super io; e ovviamente uomo contro donna. Le convention dei partiti quest'estate hanno mostrato un grande contrasto di tono, immagine e protagonisti. Ma sono avvenute in momenti diversi e in città diverse. Il primo dibattito sarà la presenza di materia e antimateria nello stesso momento e nello stesso posto. I grandi eventi sportivi, come le Olimpiadi o le finali dei Mondiali, sono diversi da tutte le altre cose che vediamo in tv – e attirano un pubblico enorme, in diretta – perché nessuno sa come andranno a finire. Lo stesso vale per i dibattiti tra i candidati alla presidenza, soprattutto se uno di questi è Donald Trump.»
( James Fallows, The Atlantic, ottobre 2016)
Il primo confronto televisivo tra Hillary Clinton e Donald Trump si terrà il 26 settembre alle 21 alla Hofstra University di Hempstead, nello stato di New York; in Italia saranno le tre del mattino del 27 settembre. Ci si aspetta un pubblico di almeno 100 milioni di persone solo negli Stati Uniti – potrebbe essere il più visto di sempre – e altre centinaia di milioni nel resto del mondo. Miliardi di persone ne leggeranno e ne guarderanno dei pezzetti su internet nei giorni successivi. Ci saranno poi altri due confronti tra Clinton e Trump e uno tra i loro vice, ma il primo dibattito è quasi sempre il più visto, il più atteso e quindi il più influente. Ci siamo.
Storie di vecchi dibattiti televisivi
Un buon primo passo per capire cosa aspettarsi e cosa guardare durante un confronto tv tra due candidati è conoscere i momenti memorabili e decisivi dei dibattiti del passato. È il tema dell'undicesima puntata del podcast, in cui racconto e commento un po' di scambi e battute rimaste nella storia americana, da Ronald Reagan a Bill Clinton. Si ascolta qui su Spreaker e qui su iTunes.
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I confronti tv sono organizzati da una commissione indipendente e trasmessi a reti unificate dai principali network americani. Durano novanta minuti senza pubblicità. I giornalisti moderatori sono scelti dalla commissione stessa: quello del confronto di lunedì sarà Lester Holt di NBC, un giornalista esperto e noto per essere piuttosto equo e diretto (Trump l'ha accusato di essere Democratico, ma in realtà Holt è registrato nelle liste elettorali come Repubblicano). I novanta minuti sono divisi in sei segmenti da quindici minuti. Gli argomenti discussi saranno tre, quindi due segmenti per ognuno: "America's Direction", "Achieving Prosperity", "Securing America". Gli argomenti possono essere cambiati fino all'ultimo momento in base alle ultime notizie di attualità.
Le basi
Analizzare un confronto tv per capire chi è andato meglio è più difficile di quello che sembra. Ogni tanto arriva uno di quei momenti memorabili che rendono evidente chi ha vinto e chi ha perso, ma più spesso è una questione di sfumature. I sondaggi post-confronto ci danno una mano: al di là delle nostre opinioni, se gli americani dicono di aver preferito Tizio, ha vinto Tizio. Se non fosse che gli elettori americani tendono a dire che ha vinto il candidato che preferiscono da prima, a prescindere da come sia andata realmente. I sondaggi da tenere d'occhio dopo il confronto sono allora quelli che riguardano gli elettori che si descrivono come indecisi o indipendenti: ma quegli elettori non sono rappresentativi dell'elettore medio americano. Insomma, non è semplice.
La prima cosa da tenere presente, quindi: salvo che Clinton o Trump non incorrano in un evidente disastro, diffidate da chi martedì mattina proporrà opinioni assolute e definitive su chi ha vinto e chi ha perso. La seconda cosa da tenere presente: nel giudicare i dibattiti, eliminate dalla testa le vostre opinioni sui candidati. Il miglior modo per prendere una cantonata nel giudicare un confronto tv è basarsi sul fatto che siete d'accordo con le cose che dice Clinton e non siete d'accordo con le cose che dice Trump, o viceversa. Come racconto nel podcast, un confronto tv tra due candidati non è un convegno in cui si confrontano le riforme delle pensioni e si decide chi ha la proposta migliore: altrimenti le regole non sarebbero così serrate, altrimenti le risposte non durerebbero un minuto e mezzo. Un dibattito televisivo è una performance.
I candidati devono dimostrare di saper esporre le proprie idee in pochi minuti, con efficacia e persuasività, e soprattutto sono sottoposti a una prova caratteriale: devono dimostrare di saper reggere la pressione, di saper gestire le critiche dell'avversario e le domande dei giornalisti, di capire quando andare all'attacco e quando usare una battuta di spirito per alleggerire. Tutto questo devono farlo non solo con le loro parole ma con il loro corpo: con le facce, con le smorfie, con i gesti, con gli sguardi. Di nuovo: è una formula la cui soluzione non è semplice per loro, ovviamente, e quindi figuriamoci per noi.
Terza cosa da tenere presente: per una parte significativa, è un gioco di aspettative. Nel 1992 il comitato di Bill Clinton definì George H.W. Bush «il più esperto oratore dai tempi di Lincoln», nel 1996 il comitato di Bob Dole descrisse Bill Clinton come «il più grande oratore dai tempi del Senato romano», nel 2000 il comitato di George W. Bush descrisse Al Gore come «un oratore di livello mondiale», nel 2012 il comitato di Mitt Romney descrisse Barack Obama come «uno dei più talentuosi comunicatori della storia moderna». Le aspettative sono determinate dalle qualità di ciascuno, banalmente: se il Crotone arriva decimo in Serie A è un trionfo, se la Juventus arriva decima è un disastro. È facile capire perché questo aspetto il 26 settembre sfavorirà Clinton. Donald Trump ha detto e fatto così tante cose assurde e irrazionali in questa campagna elettorale – almeno fino a un mese fa, e infatti da allora cresce nei sondaggi – che gli potrebbe bastare non fare pasticci per poter dire di aver vinto. Clinton è una veterana e ha una tale esperienza nei dibattiti tv che qualsiasi vittoria di misura o pareggio politicamente potrebbe pesare come una sconfitta.
Cosa cambia un dibattito
Il primo dibattito tv storicamente è rischioso soprattutto per chi è o è percepito in vantaggio. Nel caso dei presidenti uscenti capita quasi sempre: chi ha passato quattro anni alla Casa Bianca di solito ha meno voglia e tempo di prepararsi del suo avversario, e soprattutto è abituato a sentirsi in qualche modo superiore. Arriva lì e pensa: chi è questo tizio che non ha idea di come si fa questo lavoro e pretende di spiegarlo a me che lo faccio da quattro anni? Ronald Reagan andò malissimo al primo dibattito del 1984, Barack Obama fu disastroso al primo dibattito del 2012: e parliamo forse dei due più grandi oratori che la politica statunitense abbia prodotto negli ultimi quarant'anni. Anche per questo motivo alla fine vinsero comunque entrambi, ma quei dibattiti ebbero conseguenze significative nei sondaggi.
A questo giro non ci sono presidenti uscenti, ma forse starete pensando: possibile che dopo due anni di campagna elettorale, e con due candidati così polarizzanti e diversi tra loro, ci sia ancora in giro qualcuno che non ha deciso di votare e aspetta i dibattiti? Innanzitutto sì, ci sono. Quest'anno meno del solito, a causa di Trump, ma in generale ci sono molti americani che cominciano a seguire davvero la campagna elettorale solo finita l'estate. Inoltre, Trump e Clinton sono così impopolari che una parte significativa dei loro sostenitori sono tiepidini: escludono di votare per l'avversario, ma non sono sicurissimi di andare a votare per il loro candidato o non andare del tutto. Un buon dibattito può far crescere convinzioni ed entusiasmo di questi sostenitori tiepidini; un pessimo dibattito può convincerli a stare alla larga da un candidato perdente.
Cosa ha davanti Hillary Clinton
Innanzitutto ha davanti qualcosa che conosce. Nel corso della sua carriera politica, Clinton ha partecipato a circa 40 confronti tv. Di questi, 13 sono stati confronti a due, che sono evidentemente molto diversi dagli altri: tre contro Rick Lazio quando era candidata al Senato nel 2000, cinque contro Barack Obama alle primarie del 2008, cinque contro Bernie Sanders alle primarie del 2016. In queste cose l'esperienza conta, anche se uno come Donald Trump non se l'è mai trovato davanti.
Se pensate d'istinto a una qualità di Hillary Clinton, vi verrà in mente probabilmente la competenza. Come abbiamo visto, è una qualità che ai dibattiti tv conta relativamente poco. Se pensate d'istinto a un punto debole di Hillary Clinton, vi verrà in mente probabilmente il suo carattere. La maggioranza degli elettori americani considera Clinton fredda, bugiarda, inaffidabile, poco empatica. Spesso è una caricatura, e infatti chi la conosce dice il contrario, ma in questo contesto non importa: i dibattiti tv si giocano soprattutto sul carattere percepito da chi guarda a casa. C'è anche una questione di genere, ovviamente: per moltissime persone un uomo che alza la voce durante un comizio è visto come "determinato", una donna che alza la voce è "arrabbiata"; un uomo che sa molte cose è "colto", una donna che sa molte cose è "maestrina" o "secchiona".
Anche per questo, molti esperti pensano che al confronto tv Clinton dovrebbe giocare facile, evitare risposte inutilmente iperdettagliate, descrivere le sue posizioni trovando un tono autorevole ma non distaccato, enfatizzare la pericolosità del suo avversario, provocarlo sottilmente – il tema più sensibile per Trump è il suo successo da imprenditore – e aspettare che esploda. Sappiamo bene ormai che, quando non legge da un gobbo elettronico, Trump ha la tendenza a dire cose assurde: se gli insulti alla famiglia Khan o lo svarione sulla guerra in Ucraina li avesse detti durante un confronto tv con Hillary Clinton, forse la campagna elettorale sarebbe finita. Se Trump dovesse aggredirla, invece che rispondere a tono Clinton dovrebbe reagire con grazia e pacatezza, per mostrare tutta la differenza di livello e spingere il pubblico a solidarizzare con lei. Per dirla come Michelle Obama: «When they go low, we go high».
Questa cosa a Clinton viene benissimo, come mostra questo video.

Cosa ha davanti Donald Trump
Innanzitutto, ha davanti qualcosa di completamente nuovo. L'esperienza di Donald Trump con i confronti tv si limita a quelli piuttosto affollati della campagna elettorale per le primarie. Non ha mai partecipato a un confronto a due. Inoltre, stando alla sua agenda pubblica, Trump non si sta preparando moltissimo.
Il primo rischio per Trump è perdere il controllo della situazione: lasciarsi trasportare dal momento e litigare col giornalista moderatore, per esempio, oppure dire qualcosa di esagerato in confronto a una critica o una domanda incalzante, oppure ancora dire qualcosa che mostri la sua ignoranza nella politica estera o in economia, come quando è sembrato non sapere cosa sia il «nuclear triad» o ha detto che la Russia non invaderà l'Ucraina. Il contesto, il tono e soprattutto il pubblico del dibattito di lunedì saranno molto diversi da quelli dei dibattiti delle primarie: così come gli insulti potrebbero non funzionare allo stesso modo, e anzi essere controproducenti, anche altri errori che Trump ha compiuto in passato stavolta potrebbero avere conseguenze ben più gravi.
Oppure no. Anche qui sarà una questione di sfumature. Trump ha notoriamente un linguaggio semplicissimo, da quinta elementare, cosa per cui viene criticato secondo me con una certa superficialità. Non serve un gran talento per avere un'oratoria complessa, involuta, articolata. Pensate invece ai discorsi e alle frasi più iconiche della politica americana, quelle che definiscono una storia intera. «I have a dream» di Martin Luther King. «Yes we can» di Barack Obama. «Ask not what your country can do for you» di John Fitzgerald Kennedy. Oppure pensate alle frasi rimaste nella storia dei dibattiti tv americani. «You're no Jack Kennedy» di Lloyd Bentsen. «There you go again» di Ronald Reagan. «Read my lips: no new taxes» di George H. W. Bush. Nella comunicazione politica la semplicità è una virtù. E Trump sa parlare in modo semplice ed efficace come pochi altri candidati nella storia americana: questo talento e questo istinto potrebbero benissimo farlo deragliare, ma potrebbero anche fargli produrre uno di questi momenti iconici, una di quelle frasi da dieci parole che rimangono nella memoria degli spettatori.
«That's the ten word answer my staff's been looking for for two weeks. There it is. Ten word answers can kill you in political campaigns. They're the tip of the sword.»
Come guardarlo
Lunedì 26 settembre all'ora di cena farò il punto della situazione e risponderò a un po' di domande in diretta streaming con Periscope (tenete d'occhio i miei account su Facebook e Twitter, se vi interessa). Alle tre del mattino SkyTg24, che si vede in chiaro e in streaming, trasmetterà il dibattito credo con traduzione simultanea in italiano; se siete abbonati al pacchetto News di Sky lo trovate anche sulle tv americane, naturalmente. Il dibattito sarà trasmesso in streaming – alla stessa ora, ma senza traduzione – anche su Facebook, sulla pagina di ABC News, e su Twitter su questa pagina. Se deciderete di restare svegli, mi troverete su Twitter a commentarlo in diretta. Poi di mattina presto arriveranno un articolo sul Post e un'edizione speciale della newsletter.
Un po’ di notizie sparse:
– Ted Cruz ha deciso infine di dare il suo sostegno a Donald Trump, segno che dopo la rimonta di questo mese il Partito Repubblicano comincia a considerare credibile la possibilità di una sua vittoria.
– questo weekend un bel pezzo del cast di The West Wing farà campagna elettorale per Hillary Clinton in Ohio. Ci saranno Allison Janney (C.J. Cregg), Bradley Whitford (Josh Lyman), Richard Schiff (Toby Ziegler), Dulé Hill (Charlie Young), Mary McCormack (Kate Harper) e Joshua Malina (Will Bailey).
– Il Washington Post ha scoperto che Donald Trump ha usato più volte i soldi di una fondazione benefica per risolvere le sue cause legali (e qui ritorna il discorso del doppio standard, di cui parlavamo qui).
– il New York Times ha fatto un sondaggio molto approfondito sugli elettori della Florida. Poi ha preso i dati grezzi e li ha dati a quattro importanti istituti, perché li pesassero secondo i loro criteri e modelli e arrivassero a dei risultati. Sono venuti fuori quattro risultati diversi, e non di poco (un altro motivo per maneggiarli con cura e non trarre conclusioni da un solo sondaggio).
– Barack Obama e Michelle Obama ci hanno ricordato per l'ennesima volta che due come loro non si vedranno per un bel po'.
«Read up on your history. It matters!»
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