È stata la settimana in cui Donald Trump ha cercato di girare la sua campagna elettorale, facendo una di quelle cose che fanno i candidati che stanno perdendo male e ne sono consapevoli (questa forse è la vera buona notizia, per i Repubblicani): azzerando e sostituendo in blocco la dirigenza del suo comitato. Ne abbiamo parlato
nell'edizione speciale della newsletter che avete ricevuto mercoledì. Non bisogna aspettarsi svolte dal punto di vista politico – il nuovo capo del comitato è Steve Bannon, presidente di Breitbart, società che edita
un omonimo sito di news di estrema destra, molto urlato e complottista – ma forse una campagna elettorale un po' più ordinata.
Nel tentativo di cominciare a vendere ai giornalisti e agli elettori la storia del grande ritorno, della rimonta possibile, Trump giovedì ha rivolto un discorso che ha letto rigorosamente da un gobbo elettronico – cosa che probabilmente farà sempre più spesso, per evitare guai – e
si è persino detto dispiaciuto per alcune delle cose che ha fatto nelle ultime settimane; dall'altro lato, però,
continua a scrivere tweet come questo (prima o poi gli toglieranno del tutto il telefono). Da un lato quel discorso ha dato a Trump per la prima volta da settimane un po' di copertura positiva sui media; dall'altro lato, meno di 24 ore dopo, lo stesso Trump ha dato ai media la notizia delle dimissioni di Paul Manafort da presidente del comitato elettorale (Manafort era
sempre più nei guai per via dei suoi rapporti con la Russia e potrebbe essere presto indagato). Da un lato finalmente il comitato Trump ha iniziato a comprare spazi per trasmettere spot televisivi negli stati in bilico; dall'altro
il primo spot sembra preparato per le primarie dei Repubblicani.
Forse è troppo tardi per cambiare registro, forse il registro semplicemente non cambierà.
Questa analogia del Washington Post funziona bene: è come una dieta. Siamo bravi tutti a essere precisissimi il primo giorno di una dieta e perdere tre chili nella prima settimana. Il problema è continuare con la stessa attenzione per tre mesi. Vediamo. E intanto che vediamo, parliamo un po' di quello che potrebbe diventare il più grosso guaio per Hillary Clinton nei due mesi e mezzo che ci separano dall'8 novembre.
Ci sono due cose che fanno di solito i presidenti dopo la fine del loro mandato. La prima è costruire e aprire una biblioteca presidenziale, allo scopo di conservare documenti, libri, trascrizioni e materiali storici di ogni tipo sui loro anni alla Casa Bianca (quella di Reagan è in California, quelle dei Bush sono in Texas, quella di Bill Clinton è in Arkansas, quella di Obama sorgerà a Chicago). La seconda è costruire una fondazione che lavori ad attività filantropiche e di beneficienza (quella di Obama formalmente esiste già, ha già
un sito e dei
finanziatori: il suo primo progetto è proprio la biblioteca).
La Clinton Foundation è nata dopo la fine del secondo mandato di Bill Clinton, e da allora finanzia programmi e progetti per la lotta all'AIDS e ai cambiamenti climatici, al sostegno dei paesi in via di sviluppo, a programmi per l'istruzione e l'emancipazione femminile. Le cose che fa sono generalmente apprezzate ed efficaci. Questi programmi sono finanziati con le donazioni di privati cittadini, aziende, enti pubblici e governi: dalla sua nascita a oggi la Clinton Foundation ha raccolto a questo scopo circa due miliardi di dollari.
Le associazioni filantropiche, specie quelle di questa grandezza e influenza, sono da sempre anche un mezzo per creare reti di persone; e quindi fare una donazione a queste fondazioni per chi è molto ricco può essere anche un modo per cercare di ottenere ascolto o influenza con qualcuno, per mettere un piede in un network del quale si vorrebbe far parte. Queste cose di solito non sono un problema: anzi, dall'organizzazione dei gala con costosi biglietti alle conferenze tematiche, sono una delle forze che permettono a queste fondazioni di ottenere soldi nel corso del tempo. Ma possono diventare un problema quando chi dirige la fondazione ha o vorrebbe avere un importante incarico politico nel più potente paese del mondo.
La fondazione Clinton è sempre stata diretta da Bill ma ha sempre coinvolto sia Hillary che Chelsea, che ha ancora un ruolo operativo: per qualche anno si è chiamata proprio "Bill, Hillary & Chelsea Clinton Foundation", Hillary è stata coinvolta direttamente in alcuni progetti umanitari, anche quando era Segretario di Stato, e ci ha lavorato quasi a tempo pieno dopo aver lasciato il Dipartimento di Stato. La legge impone criteri piuttosto blandi alle fondazioni benefiche per quanto riguarda la trasparenza sui loro finanziamenti, ma quando Hillary Clinton si candidò per la prima volta alla presidenza degli Stati Uniti, nel 2007, diversi giornalisti e commentatori sostennero che la fondazione avrebbe dovuto diffondere la lista dei suoi finanziatori. Quando la fondazione lo fece, nel dicembre del 2008, emerse che tra i finanziatori della fondazione c'erano nomi tipo il re dell'Arabia Saudita oppure Blackwater, la grande società militare privata che è stata a lungo contractor di riferimento del Dipartimento di Stato (
con disastrose conseguenze). Le liste dei finanziatori della fondazione diffuse da allora sono piene, tra gli altri, di nomi di grandi manager e imprenditori e leader politici stranieri.
Il problema è questo, quindi: fino a che punto queste persone hanno contribuito alla Clinton Foundation nella speranza o nel tentativo di ottenere accesso o influenza verso un Segretario di Stato e un potenziale presidente degli Stati Uniti? La Clinton Foundation ha usato questo asset, diciamo, per ottenere finanziamenti da persone ed enti molto ricchi? Gli interessi e le attività imprenditoriali delle persone che hanno contribuito alla Clinton Foundation si sono mai sovrapposti e scontrati con gli interessi e le attività del governo degli Stati Uniti, o con quelle di Hillary Clinton in quanto candidata alla presidenza? Tenete conto, come informazione di contesto, che persone ed enti non americani non possono contribuire economicamente alle campagne elettorali statunitensi: una persona o un ente non americano, ma comunque in cerca di ascolto o influenza nel giro dei Clinton può avere usato la fondazione, non potendo donare dei soldi al comitato elettorale?
Analizzando le liste dei finanziatori della Clinton Foundation, tra i donatori americani emergono diverse sovrapposizioni con i finanziatori delle campagne elettorali di Hillary Clinton. La metà dei finanziatori di Ready for Hillary, un comitato indipendente nato per sostenere la campagna elettorale di Hillary Clinton per le presidenziali del 2016, ha donato soldi anche alla fondazione; lo stesso vale più o meno per i finanziatori della campagna elettorale del 2008 (tra i finanziatori americani della fondazione c'è anche Donald Trump, tra l'altro). Tra i finanziatori stranieri il quadro è altrettanto delicato: un terzo delle persone ed enti che hanno donato più di un milione di dollari sono non americani; tra chi ha donato più di 5 milioni di dollari, gli stranieri sono più della metà. Tra chi ha donato più di 25 milioni ci sono un'associazione fondata da un grande imprenditore canadese del settore minerario, per esempio, e la lotteria nazionale olandese. Tra chi ha donato meno ci sono Goldman Sachs, Coca Cola e i governi dell'Oman, dell'Arabia Saudita, del Kuwait e degli Emirati Arabi Uniti. Le ricche donazioni da parte dei governi stranieri sono proseguite anche negli anni in cui Hillary Clinton era Segretario di Stato, quindi a capo della diplomazia americana, con rapporti quotidiani o quasi con quegli stessi governi.
Non ci sono prove che Hillary Clinton abbia alterato in qualche modo le sue azioni da Segretario di Stato allo scopo di favorire i finanziatori della fondazione; ma è vero che in molti casi si tratterebbe di alterazioni difficili da provare. Come si fa a dimostrare che nel corso di un negoziato o di un vertice bilaterale la posizione di Clinton e del Dipartimento di Stato sia stata più o meno intransigente o morbida per via di quelle donazioni e non di una scelta diplomatica o politica? L'esame delle email inviate e ricevute in quegli anni da Hillary Clinton e dalle persone che lavoravano per lei al Dipartimento di Stato non contengono nessuna pistola fumante, ma ci sono un paio di episodi diciamo sgradevoli.
Per esempio sia Hillary che Bill e Chelsea Clinton hanno partecipato a riunioni ed eventi privati con Victor Pinchuk, magnate ucraino del settore dell'acciaio, che è allo stesso tempo un finanziatore della Clinton Foundation e un imprenditore attivo negli Stati Uniti, dove peraltro è stato accusato formalmente di pratiche commerciali scorrette. Pinchuk nel 2011 – cioè mentre Clinton era Segretario di Stato – ottenne un incontro con un alto funzionario del Dipartimento di Stato: gli parlò per conto del presidente ucraino Viktor Yanukovich, per tentare di rassicurare il governo americano sul rispetto dei diritti umani in Ucraina e sulla crescente vicinanza di Yanukovich con la Russia e Vladimir Putin.
Un'altra storia riguarda un ricco imprenditore nigeriano di origini libanesi – Gilbert Chagoury – che attraverso un dipendente della fondazione Clinton a un certo punto chiese un incontro al Dipartimento di Stato con la persona che si occupa del Libano. Il dipendente della fondazione Clinton, Doug Band, scrisse questa email a Huma Abedin, che in quegli anni era allo stesso tempo sia assistente personale di Hillary Clinton al Dipartimento di Stato che dipendente della fondazione Clinton e socia in affari di Band:
«Abbiamo bisogno di far parlare Gilbert Chagoury con la persona che si occupa del Libano. Come sai lui è una figura chiave da quelle parti e per noi, ed è amato in Libano. Molto importante»
Abedin rispose dicendo che avrebbe parlato con Jeffrey Feltman, ambasciatore degli Stati Uniti in Libano, ma non ci fu poi nessun incontro e nemmeno una telefonata. Lo staff di Clinton oggi dice che Chagoury voleva solo condividere informazioni e punti di vista sulle elezioni libanesi che si sarebbero tenute di lì a poco, pensando che potessero essere utili, e non voleva chiedere niente al Dipartimento di Stato; e ribadisce che non ci fu stato nessun incontro.
Un'altra volta lo stesso dipendente di prima della Clinton Foundation scrisse di nuovo a Huma Abedin per chiederle se esisteva al Dipartimento di Stato una posizione aperta per una persona che aveva collaborato come volontario – non come finanziatore – alle attività filantropiche della fondazione Clinton ad Haiti. Abedin rispose: «È sui nostri radar da tempo, gli stiamo mandando delle opzioni possibili».
Di nuovo: non c'è niente di illegale in tutto questo, per ora, e nemmeno di particolarmente grosso; ma c'è molto di delicato, probabilmente inopportuno e sicuramente poco trasparente e dannoso dal punto di vista elettorale. Per esempio: non è bello aver accettato decine di milioni di dollari da governi di paesi che opprimono sistematicamente le donne, come Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, se hai impostato gran parte della tua campagna elettorale sui diritti e le libertà delle donne. Oppure va bene, perché comunque quei soldi sono stati investiti per fare cose utili per le donne? È una discussione antica e interessante, io e voi potremmo farla con piacere davanti alla macchinetta del caffè: ma Hillary Clinton di certo non vuole che diventi un tema di questa campagna elettorale.
Riconoscendo l'esistenza del problema, questa settimana la fondazione Clinton ha annunciato che, qualora Hillary dovesse essere eletta alla Casa Bianca, non accetterà più donazioni da aziende e persone straniere. Bill Clinton ha detto anche che smetterà di dare discorsi a pagamento e si dimetterà dal consiglio di amministrazione della fondazione. I Repubblicani accusano da anni la famiglia Clinton di avere usato la fondazione come strumento politico, ed è noto che la trasparenza e l'affidabilità sono da anni il principale punto debole di Hillary Clinton, quello che più allontana gli elettori da lei e li fa diffidare della sua sincerità e capacità di giudizio. Aggiungeteci un'altra cosa, poi:
i server della fondazione Clinton sono tra quelli attaccati dagli hacker negli scorsi mesi. Non è implausibile – anzi, forse è persino probabile – che a un certo punto arrivino online migliaia di email interne della fondazione, e nessuno oggi sa cosa può esserci dentro. Nel migliore dei casi, una distrazione dalle cose di cui Hillary Clinton vorrebbe parlare in campagna elettorale, a due mesi dal voto; nel peggiore, qualcosa di molto imbarazzante.