192 giorni alle elezioni statunitensi
3 giorni alle primarie in Indiana

Dopo mesi di analisi, liti, chiacchiere, dibattiti e decisioni, mai come nell'ultima settimana c'è stata la percezione netta che sia finita qui. Sarà Clinton contro Trump. È sicuro? Non ancora. Ma i risultati delle primarie del 26 aprile dicono che Clinton ha un vantaggio che Sanders non può più rimontare, che Trump potrebbe davvero ottenere la maggioranza assoluta dei delegati Repubblicani prima della convention di Cleveland e che i suoi avversari sono messi molto ma molto male.

Game over
Hillary Clinton ha vinto in quattro dei cinque stati in cui si è votato il 26 aprile – Pennsylvania, Maryland, Connecticut e Delaware – lasciando a Bernie Sanders il solo piccolo e bianchissimo Rhode Island. Con queste vittorie ha confermato la forza della sua candidatura – ha vinto in quasi tutti gli stati più grandi, influenti e multietnici degli Stati Uniti – e ha aumentato ulteriormente il suo vantaggio di delegati su Sanders, oggi praticamente incolmabile. Sanders ha 1.367 delegati, per vincere ne servono 2.383, ne restano in palio 1.016. Questo vuol dire che Sanders, per arrivare a 2.383 delegati, dovrebbe vincere tutte le primarie da qui in avanti con circa il 90 per cento dei voti. Oppure dovrebbe sperare che una parte consistente dei superdelegati – i delegati di diritto perché funzionari, dirigenti, deputati e senatori del partito – decidano di spostarsi in massa sulla sua candidatura, cosa che abbasserebbe per lui la soglia percentuale da centrare: ma non è uno scenario plausibile, perché i superdelegati tendono ad andare dalla stessa parte del voto popolare e Sanders fin qui ha preso oltre tre milioni di voti in meno di Clinton. Il calendario delle primarie si sposta a maggio in un pugno di stati non molto significativi, e Sanders potrebbe fare benino in Indiana, West Virginia, Kentucky e Oregon: non è niente che possa cambiare la situazione in modo decisivo.



Sanders ha detto più volte di non volersi ritirare e ha tanti di quei soldi da poterlo fare, ma ha alluso al fatto che l'obiettivo della sua campagna adesso è soprattutto promuovere temi e proposte che influenzino il Partito Democratico. Nei prossimi giorni licenzierà centinaia di dipendenti della sua campagna elettorale per concentrare le risorse in California, dovrebbe anche abbassare un po' i toni nei confronti di Hillary Clinton, per evitare di fare danni ulteriori e a questo punto superflui alla candidata del partito; poi dice che esaminerà il suo programma elettorale per decidere quanto e come sostenerla in vista delle elezioni dell'8 novembre.

Clinton da qui in poi
Hillary Clinton invece comincerà a occuparsi dei Repubblicani e di Donald Trump, esclusivamente o quasi. Ci sono due cose che deve decidere presto. Primo: su quale messaggio forte puntare, al di là di quelli esposti fin qui. Secondo: chi scegliere come vice.

Sul primo punto non c'è ancora niente di deciso – alle primarie il suo slogan più usato è stato "Fighting for you" – ma questa settimana Clinton ha fatto circolare uno spot che secondo me è una forma embrionale del messaggio che Clinton potrebbe utilizzare contro Trump in campagna elettorale. È il cosiddetto tema "love and kindness": contro un candidato aggressivo, intollerante, antipatico, sgradito persino a una parte significativa del suo stesso partito, opporre un messaggio patriottico al limite dello sdolcinato, di unione, solidarietà, aiuto reciproco, affetto. Questo è lo spot, tutto calore e abbracci. Posso sbagliarmi naturalmente – ho una debolezza per queste cose sentimentali – ma può funzionare: storicamente è il candidato col messaggio positivo e ottimista ad avere la meglio a novembre, e contro un candidato che sta spaventando troppa gente questo potrebbe essere allo stesso tempo radicale – «Do all the good you can, for all the people you can, for as long as you can» – e rassicurante. Potrebbe anche aiutare Hillary a scrollarsi di dosso l'immagine della donna fredda e poco empatica (chiunque la conosca, sodali e rivali, dice che non lo è).



Poi c'è la questione del vice, che sarà scelto di fatto nei prossimi due mesi. I candidati tendono a scegliere il loro vice sulla base di due approcci alternativi. Ci sono i vice scelti perché compensano quelli che sono visti come potenziali punti deboli del candidato presidente: Obama (nero e inesperto) scelse Biden (bianco ed espertissimo), McCain (serio, moderato e anzianotto) scelse Palin (giovane e fuori di testa). Ma ci sono anche i vice scelti perché confermano e rafforzano l'identità del candidato: Clinton (giovane, meridionale, centrista) scelse Gore (giovane, meridionale, centrista). Questi fattori naturalmente possono anche parzialmente mescolarsi – e se il candidato vice viene da uno stato in bilico, meglio ancora.

Un articolo uscito questa settimana sul New York Times mette insieme i nomi che Clinton per adesso sta prendendo in considerazione. La scelta "rafforzativa" – e forse la più affascinante in assoluto – sarebbe Elizabeth Warren, senatrice del Massachusetts, docente universitaria carismatica ed espertissima, molto anti-Wall Street ma vicina a Obama, idolo della sinistra americana persino più di Sanders; oppure un'altra senatrice molto competente e stimata, anche se meno popolare, cioè Amy Klobuchar del Minnesota. Un ticket composto da due donne contro il candidato più maschilista degli ultimi, boh, quarant'anni: sarebbe una bomba, no? Almeno da vedere in azione.

Le scelte compensative, invece, sarebbero Julian Castro (membro del governo Obama, esperienza quasi inesistente, giovane, carismatico, latinoamericano), Deval Patrick (governatore del Massachusetts, nero, molto esperto) o Tom Perez (membro del governo Obama, figlio di immigrati dominicani, piace a sinistra, molto competente, quasi sconosciuto). C'è un altro tipo di scelta compensativa possibile, però. Se Clinton dovesse preoccuparsi per il voto dei maschi bianchi del Midwest, su cui Sanders le ha fatto molto male e su cui Trump ha una grande presa, potrebbe scegliere Sherrod Brown (esperto moderato senatore bianco dell'Ohio), Tim Kaine (esperto moderato senatore bianco della Virginia) o Mark Warner (esperto moderato senatore bianco della Virginia). Che noia.

Elizabeth Warren in due minuti.

Game quasi over
Tra i Repubblicani, Donald Trump ha vinto in tutti e cinque gli stati che hanno votato il 26 aprile: e lo ha fatto, per la precisione, vincendo in ogni singolo collegio degli stati che hanno votato. Grazie al sistema elettorale prevalentemente maggioritario ha ottenuto quasi tutti i delegati in palio. Il suo principale sfidante, Ted Cruz, in quattro di questi cinque stati è arrivato addirittura terzo. Gli elettori e i finanziatori a cui non piace Trump hanno deciso di arrendersi a Trump o di restare fermi, invece di passare con Cruz. Un motivo possibile – ne abbiamo parlato più volte in questa newsletter – è che Cruz è persino più estremista e aggressivo di Trump e non è un credibile "candidato dell'establishment". I suoi colleghi Repubblicani al Congresso lo detestano (cercate su Google "the most hated man in Washington"). John Boehner, l'ex speaker della Camera, Repubblicano, ha detto pochi giorni fa di Cruz: «non ho mai avuto a che fare con un più miserabile figlio di puttana».


Trump ha bisogno di altri 281 delegati per raggiungere la maggioranza assoluta. Le primarie Repubblicane ne mettono in palio da qui in poi 502. Di questi, 172 vanno a chi vince anche di un voto solo la California, dove Trump oggi è quasi venti punti avanti nei sondaggi.

Cruz e Kasich sono entrati quindi nella fase della disperazione. Prima hanno annunciato una specie di alleanza per non intralciarsi nei prossimi stati in cui si vota: Cruz lascerà campo libero a Kasich dove lui può far meglio, cioè in Oregon e New Mexico, mentre Kasich farà lo stesso con Cruz in Indiana. Nessuno dei due però ha detto esplicitamente ai suoi sostenitori in questi stati di votare per l'altro. Risultato: una gran confusione, e Trump che segna un gol a porta vuota mostrando che i suoi avversari sono a) alla frutta b) disposti a piegare le regole di una competizione elettorale corretta pur di farlo fuori.

Dopo la rovinosa sconfitta alle primarie del 26 aprile, poi, nel tentativo di distrarre i media e cambiare discorso, Ted Cruz ha presentato Carly Fiorina come sua candidata alla vicepresidenza. Ora: gli elettori sanno capire quando una scelta viene fatta per motivi di forza e quando viene fatta per motivi di debolezza. Cruz che oggi presenta Fiorina come vice è "come se l'Inter oggi festeggiasse lo scudetto". Non solo: con questa mossa Cruz si priva di una potenziale arma di contrattazione all'eventuale convention aperta, rende più facile per i suoi rivali attaccarlo (ora possono farlo attaccando Fiorina, che non è proprio un fenomeno). Se poi il modo di presentarsi alla stampa è questo...

Ma cosa diavolo le è saltato in mente?!

Chiudiamo con una cosa bella, oltre che con i soliti ringraziamenti a voi per gli spunti, le domande, gli incoraggiamenti e in generale le cose che mi scrivete, e il modo in cui affollate le sale in cui mi capita di parlare dal vivo di elezioni americane (a proposito: oggi alle 18 a Mantova). Ieri a un certo punto C.J. Cregg ha tenuto una conferenza stampa ai giornalisti della Casa Bianca. Chi ha visto The West Wing sicuramente ha già cliccato sul video. Gli altri, cosa state aspettando a vederla?



Ci sentiamo sabato prossimo, ciao!

Cose da leggere
Inside Trump’s Press Pen, di Ben Schreckinger su Politico
– Melania Trump on Her Rise, Her Family Secrets, and Her True Political Views: “Nobody Will Ever Know”, di Julia Ioffe su GQ
How Social Sharing is Reshaping the 2016 Race, di Echelon Insight su Medium

Hai una domanda?
Scrivimi a costa@ilpost.it oppure rispondi a questa email, che poi è la stessa cosa.

Spread the word
Se quello che hai letto ti è piaciuto, consiglia a un amico di iscriversi alla newsletter oppure inoltragliela.
Ricevi questa email perché sei iscritto alla newsletter di Francesco Costa sulla politica statunitense. Se vuoi cancellarti clicca qui. Ma devi proprio?






This email was sent to <<Metti qui la tua email>>
why did I get this?    unsubscribe from this list    update subscription preferences
Francesco Costa · Quartiere Isola · Milan, VA 20159 · Italy