Venerdì 24 giugno, mentre tutto il mondo faceva i conti scioccato con il risultato del
referendum sull'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, Donald Trump era in Scozia a inaugurare un suo campo da golf. I giornali americani l'hanno definita «una delle più surreali conferenze stampa della storia delle elezioni presidenziali statunitensi». Trump ha elogiato la decisione dei britannici di lasciare l'UE mentre si trovava in un posto – la Scozia –
che aveva votato per restare; e mentre il valore della sterlina precipitava ai minimi degli ultimi trent'anni, Trump faceva notare che questo avrebbe fatto bene ai suoi affari. In mezzo, di tanto in tanto raccontava quanto di era bello questo nuovo campo da golf.
La necessaria premessa di qualsiasi analisi sulla campagna elettorale di Donald Trump non può che partire dall'assunto che fin qui per lui questo stile ha funzionato. Non è una cosa da poco. La campagna elettorale di Trump non è diventata assurda con il viaggio in Scozia: lo era da prima, e lo ha portato fin qui. In qualche modo, anzi, più Trump fa e dice cose che nessun altro politico direbbe o farebbe, più questo rafforza la sua immagine di politico diverso dagli altri e uomo del cambiamento: e porta gli elettori persino a perdonargli cose che ad altri non sarebbero perdonate. "È fatto così". "Ogni tanto esagera, ma almeno sappiamo che non è come gli altri". Avete presente?
Le elezioni di novembre però non sono le primarie. L'elettorato è molto più grande e soprattutto è completamente diverso. E molte cose che sono successe questa settimana mostrano che la campagna elettorale di Trump è in grossa difficoltà, e che lui forse se n'è accorto. Qui non parliamo necessariamente di
Trump being Trump, degli insulti agli immigrati, del populismo, della retorica bellicosa, delle accuse al giudice che si sta occupando della presunta truffa collegata alla Trump University, dei nomignoli che continua a dare ai suoi avversari politici: tutte cose che dopo il referendum in Regno Unito fanno un po' più paura. Parliamo di come si fa una campagna elettorale.
A maggio il comitato elettorale di Trump ha raccolto 3,1 milioni di dollari. Trump ha prestato al suo comitato elettorale altri 2 milioni di soldi suoi. Il totale dei soldi effettivamente in banca, quelli che il comitato può spendere, è 1,3 milioni. Per avere un'idea di quanti sono, basti pensare che un deputato con un collegio nemmeno troppo impegnativo di solito a questo punto della campagna elettorale ha più soldi in banca. Oppure basti vedere come sono messi dall'altra parte. Il comitato elettorale di Hillary Clinton a maggio ha raccolto 28 milioni di dollari e ha 42 milioni di dollari in banca. Persino Bernie Sanders, sconfitto alle primarie, a maggio ha raccolto 15,6 milioni di dollari e ha 9,2 milioni in banca.
Uno dei risultati è questo: il numero di dipendenti della campagna elettorale di Trump a confronto con quelli di Clinton e Sanders.
Oppure questo che segue, ancora più impressionante. A sinistra trovate la cifra spesa nel giugno del 2012 da Barack Obama e Mitt Romney – i candidati alle presidenziali di quell'anno – per trasmettere spot televisivi negli stati in bilico. Si vedono un po' di differenze tra i due candidati, basate sia sulla strategia che sulla differente disponibilità finanziaria. A destra, invece, trovate la cifra spesa nel giugno del 2016 da Hillary Clinton e Donald Trump per trasmettere spot televisivi negli stati in bilico. Non siete diventati improvvisamente daltonici: il rosso non c'è.
Uno dice: ma allora in cosa sta spendendo i soldi il comitato elettorale di Trump? Dato che i soldi sono pochi, li sta spendendo in pochi modi: e gli spot costano troppo. E – cosa allo stesso tempo buffa e allarmante –
li sta spendendo per comprare beni e servizi dalle aziende di Trump. Il comitato elettorale di Trump ha speso fin qui circa 6 milioni di dollari – il 10 per cento dell'intera cifra raccolta – per affittare aerei della sua compagnia di jet privati, comprare bottiglie di vino della società di suo figlio Eric, e poi usare resort, campi da golf, sale congressi di proprietà della famiglia Trump. Tutto questo non è illegale, anzi la legge prevede che i comitati elettorali paghino tutto a prezzo di mercato proprio per evitare privilegi e scambi. Ma è surreale, e soprattutto fa arrabbiare molto i finanziatori storici del Partito Repubblicano, che non hanno voglia di contribuire alla campagna elettorale di Trump se pensano che alla fine Trump si metta in tasca i soldi.
Trump rivendica di essere arrivato fin qui raccogliendo e spendendo pochissimo, non pensa sia un problema: anzi, sostiene di star dimostrando che si può fare politica in un altro modo, senza dover ricorrere a ricchi finanziatori. Ma la raccolta fondi di Trump oggi non è la raccolta fondi di qualcuno che vuole risparmiare: è la raccolta fondi di qualcuno che non ha una raccolta fondi. Un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che sta facendo campagna elettorale in una nazione grande quanto l'Europa e con 320 milioni di abitanti non può avere in banca i soldi di un deputato che cerca i voti tra 700.000 persone che vivono in un collegio grande qualche decina di chilometri quadrati. Tutto questo si unisce alle sgradevolezze della comunicazione di Trump e produce risultati così:
Contro una candidata forte ma tutto sommato battibile come Hillary Clinton, fin qui nei sondaggi Trump sta andando molto peggio di tutti i candidati Repubblicani degli ultimi dodici anni: quelli che hanno vinto e quelli che hanno perso.
Questa settimana però è successa un'altra cosa importante. Trump ha licenziato il suo campaign manager, Corey Lewandowski, quello dai modi piuttosto spicci che era stato accusato di aver strattonato una giornalista. Sembra che Lewandowski sia stato allontanato in malo modo dopo una riunione in cui i figli di Trump hanno sollevato i grossi problemi logistici della campagna: pochi fondi, pochi uffici, pochi dipendenti, pochi spot. E qualcosa è cambiato.
Il giorno successivo al licenziamento di Lewandowski il comitato elettorale di Trump ha mandato ai giornalisti una serie di comunicati per rispondere immediatamente alle accuse rivoltegli da Hillary Clinton durante un suo discorso: cose che le campagne elettorali fanno normalmente ma quella di Trump non aveva mai fatto. Sull'account Twitter di Trump sono apparsi dei tweet scritti evidentemente dal comitato e non dallo stesso Trump. Sono state annunciate nuove assunzioni. È stata inviata ai sostenitori un'email per sollecitare donazioni. E Trump ha trasformato in una donazione i 50 milioni di dollari che fin qui aveva prestato al suo comitato elettorale.
Durerà? Basterà? Boh. Con Trump è impossibile dirlo. Ma questa settimana ha dato l'impressione che Trump abbia iniziato a trasformare la sua organizzazione – ho detto organizzazione, non comunicazione – in quella di un candidato alla presidenza degli Stati Uniti un po' più normale di come è stato fin qui.

Tre aggiornamenti rapidi sui Democratici
Il primo: Bernie Sanders ha detto «sembra che non sarò io il candidato dei Democratici» e in un'altra occasione ha aggiunto che voterà Hillary Clinton alle elezioni presidenziali di novembre. Sembra poco, e in assoluto lo è, ma non aveva mai detto queste cose con chiarezza. La ferita si sta rimarginando, e oggi è un po' più improbabile assistere a guai e polemiche durante la convention di Philadelphia.
Il secondo: l'organizzazione politica di Barack Obama – quello che una volta era il suo comitato elettorale – ha passato il suo ricchissimo indirizzario di sostenitori e donatori a Hillary Clinton. Potenzialmente è una miniera d'oro: alle elezioni presidenziali del 2012 il comitato di Obama raccolse ben 500 milioni di dollari solo attraverso le donazioni online.
Il terzo: vi ricordate la storia delle email di Hillary Clinton, no? Per chi era distratto, durante il suo mandato da segretario di Stato, Hillary Clinton ha usato il suo account privato di posta elettronica anche per le cose di lavoro. La legge non glielo impediva, ma quando ha dovuto consegnare le email di lavoro perché il governo potesse archiviarle, lei ha cancellato dal server tutte quelle personali e ha dato le altre al Dipartimento di Stato. Non ci sono modi per sapere se ha davvero cancellato solo quelle personali. L'FBI ha aperto un'indagine conoscitiva per capire se questa gestione delle comunicazioni ha messo a rischio informazioni riservate e in ultima istanza la sicurezza nazionale. L'indagine deve ancora finire. Hillary Clinton non è indagata, ma potrebbe diventarlo e in quel caso sarebbe probabilmente la fine della sua campagna elettorale. Sulla base dei precedenti, un'indagine diretta su Clinton è considerata uno scenario molto improbabile: ma questa settimana è venuta fuori una notizia un po' preoccupante.
Nelle email consegnate al Dipartimento di Stato da Huma Abedin, la principale e storica assistente di Hillary Clinton, ce n'è una ricevuta da Clinton che riguarda cose di lavoro – riguarda proprio il setup del suo indirizzo email! – che Clinton non aveva consegnato, e quindi aveva cancellato. Questo fatto aumenta come minimo i sospetti sul fatto che Clinton non si sia limitata a cancellare solo le email personali.
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