Questa è quasi un'edizione speciale della newsletter, perché invece di fare il solito punto della situazione sulla campagna elettorale ci concentreremo su uno scenario ben preciso, che si chiama "brokered convention" (o "open convention" o "contested convention"). Per vincere le primarie bisogna ottenere la maggioranza assoluta dei delegati: quella relativa non basta. Cosa succede se nessuno dei candidati ottiene al termine delle primarie la maggioranza assoluta dei delegati? Il caso di cui parleremo è nello specifico quello del Partito Repubblicano, visto che tra i Democratici questa ipotesi è praticamente impossibile.
Prima di cominciare, però, i prossimi appuntamenti: ci vediamo a parlare di elezioni americane il primo aprile alle 21 a Pisa (qui l'evento su Facebook), nell'aula magna della Scuola Superiore Sant'Anna, con Lorenzo Pregliasco e Giovanni Diamanti di YouTrend; il 5 aprile alle 17 a Padova, al teatro Ruzante, con Fabrizio Tonello; l'11 aprile alle 21 a Milano, all'Opera Cardinal Ferrari, con Lia Quartapelle.
Adesso cominciamo.
Le basi, innanzitutto
Ormai dovreste aver imparato che i candidati alla presidenza degli Stati Uniti vengono scelti formalmente durante le rispettive convention estive: una specie di grande congresso di partito durante il quale i cosiddetti "delegati" a un certo punto con un voto scelgono il candidato alla presidenza e il candidato alla vicepresidenza del partito. Perché un politico venga scelto come candidato alla presidenza o alla vicepresidenza, serve che la maggioranza assoluta dei delegati voti per lui. Se non ci si riesce al primo scrutinio, si fa un secondo scrutinio, poi un terzo, e così via. Non c'è un numero massimo di scrutini previsto.
Semplificando molto, i delegati sono eletti con le primarie, stato per stato: ma non tutti gli stati li eleggono allo stesso modo (anzi, è difficile trovarne due che lo facciano nello stesso modo). Alla convention del Partito Repubblicano parteciperanno in tutto 2.472 delegati. La metà più uno fa 1.237. In questo momento, Donald Trump può contare su un sostegno stimato in 739 delegati, Ted Cruz su 465, John Kasich su 143. Le stime dicono che Trump, continuando di questo passo, arriverebbe alla fine delle primarie a un passo dai 1.237 delegati: forse un pelo sotto, forse un pelo sopra. Ma naturalmente le cose possono ancora cambiare passo. Quello che sappiamo per certo è che John Kasich matematicamente non può arrivare a ottenere 1.237 delegati: il solo fatto che non abbia ritirato la sua candidatura dimostra la plausibilità dello scenario per cui si dovesse arrivare alla convention senza un candidato con la maggioranza assoluta dei delegati.
La contested convention di The West Wing.
Come si assegnano i delegati
Con le primarie direte voi. Troppo semplice. La maggior parte dei delegati si assegna effettivamente con le primarie e sono "bound", cioè alla convention al primo scrutinio – a volte anche al secondo e al terzo – sono costretti a votare per il candidato con cui sono stati eletti. Alcuni stati, come l'Iowa, costringono i loro delegati a votare per il loro candidato al primo scrutinio anche se questo nel frattempo si è ritirato; altri, come il Michigan, liberano i delegati eletti con i candidati non più in corsa. Possono votare chi vogliono.
Ma ora diventa più complicata di così.
Ogni stato sceglie almeno parte dei suoi delegati durante una "convention statale", che si tiene nei mesi successivi alle primarie. Nella maggior parte dei casi a questa convention partecipano un numero di persone distribuite proporzionalmente secondo i voti che hanno ricevuto i candidati alle primarie. Questo però non garantisce che il risultato della convention statale sia identico a quello delle primarie: perché gli staff dei singoli candidati devono comunque assicurarsi che i loro sostenitori partecipino alla convention statale stessa, per esempio, e che conoscano le regole e sappiano sfruttarle. Quindi i candidati che vogliono arrivare alla convention estiva non possono abbandonare del tutto gli stati in cui si è già votato.
Facciamo un esempio concreto. Il 5 marzo si è votato per le primarie in Louisiana, che mettevano in palio in tutto 46 delegati. Trump ha ottenuto il 41,4 per cento dei voti contro il 37,8 per cento di Cruz e l'11,2 per cento di Rubio. I 46 delegati della Louisiana sono distribuiti in questo modo: 20 su base proporzionale tenendo conto dei risultati nell'intero stato; 3 su base proporzionale per ognuno dei 6 collegi in cui è diviso lo stato (e in tutto fa 18); 3 sono scelti dal partito ma "costretti" a votare per il vincitore al primo scrutinio; 5 sono scelti dalla convention statale e possono votare chi vogliono. Alle primarie, sulla base di questi conti, Trump ha ottenuto 18 delegati, Cruz ne ha ottenuti altri 18, Rubio 5. Alla convention statale, però, Cruz ha ottenuto il sostegno dei 5 delegati "liberi" e sembra aver convinto anche i 5 di Rubio, che la legge della Louisiana non vincola al voto per il loro candidato. Alla fine della fiera, quindi, sebbene abbia preso meno voti, Cruz in Louisiana dovrebbe aver maturato 28 delegati contro i 18 di Trump. Cose del genere stanno capitando in diversi stati, perché i sostenitori e i funzionari di Trump sono molto inesperti mentre quelli di Cruz sono dei nerd delle regole e dei cavilli.
Poi c'è quella che potremmo chiamare "la mossa House of Cards", per via della sua spregiudicatezza. È noto che Cruz in molti stati sta facendo infiltrare dei suoi sostenitori tra i sostenitori di Trump, perché si facciano eleggere alle varie convention statali e poi a quella nazionale come delegati di Trump. A quel punto sarebbero vincolati a votare per Trump al primo scrutinio, ma se The Donald non dovesse farcela subito, una volta svincolati passerebbero con Cruz. In altri casi, questo accadrà in modo naturale: per fare il delegato in South Carolina devi essere stato delegato al congresso statale Repubblicano dell'anno scorso. All'epoca i sostenitori di Trump non esistevano: quindi i suoi delegati del South Carolina sono funzionari di partito che probabilmente non saranno particolarmente fedeli dopo il primo scrutinio.
Infine: ci sono pochi stati – il più importante è la Pennsylvania – i cui delegati non sono sottoposti a nessun vincolo. Possono votare chi vogliono anche al primo scrutinio, anche andando contro il candidato con cui sono stati eletti.
Abbiamo visto anche questa: Ted Cruz che cita una sceneggiatura di Aaron Sorkin.
Facciamo un passo indietro
Da quando le primarie funzionano come adesso, cioè più o meno dagli anni Settanta, non è mai successo che si arrivasse alla convention estiva senza un candidato con la maggioranza assoluta dei delegati. Quindi in questi decenni le convention sono diventate uno show, più che un congresso: uno spettacolo cucito attorno al candidato vincitore, per dargli modo di approfittare e avvantaggiarsi dell'attenzione degli elettori e dei media. Le convention – che prassi vengono trasmesse in diretta televisiva ogni sera – quindi si sono trasformate, e così il loro funzionamento.
Quando un candidato raggiunge un sostegno stimato superiore ai 1.237 delegati o ci va molto vicino, il Partito Repubblicano lo dichiara ufficialmente "presumptive nominee". Il vincitore designato. Nel 2012 il Partito designò così Mitt Romney il 25 aprile. Dato che le convention sono uno show fatto su misura del candidato, è il "presumptive nominee" a dirigere lo show: da quel giorno il Partito lascia al vincitore designato le chiavi della convention, che di fatto viene organizzata dal suo staff. Il candidato designato decide come allestire il palco, chi parla prima, chi parla dopo, chi non parla, su quale messaggio puntare di più, dove mettere i giornalisti... e anche come dovrà avvenire il voto della convention. Esatto: questo vuol dire che il "presumptive nominee" può cambiare le regole della convention con cui sarà eletto il candidato del partito, prima ancora di essere effettivamente eletto come candidato del partito.
Di solito, prima o durante la convention gli avversari del "presumptive nominee" invitano i loro delegati a votare per lui. C'è un vincitore chiaro, è arrivato il momento di unire il partito, vinceremo, evviva! Il voto della convention quindi si fa per acclamazione, tra grandi applausi: una volta che si arriva a un vincitore, tutti votano quel vincitore. Nel 2012, però, un avversario di Romney si rifiutò: era il senatore Ron Paul. Non solo: per mesi Ron Paul e i suoi sostenitori avevano sfruttato le regole e i cavilli dei regolamenti per strappare delegati supplementari ovunque. In questo modo Ron Paul ottenne per esempio la maggioranza dei delegati espressi da Iowa, Maine e Minnesota, anche se in quegli stati non aveva vinto le primarie. Voleva dare battaglia alla convention.
Lo staff di Mitt Romney quindi cambiò le regole della convention, per evitare non tanto che Paul potesse vincere la nomination – era impossibile – ma che rovinasse lo show piantando una grana sul regolamento o trascinando i lavori oltre il tempo stabilito. Il cambiamento più importante riguardò la regola 40: si stabilì che alla convention poteva ottenere la nomination solo qualcuno che aveva avuto la maggioranza dei delegati in almeno otto stati (prima poteva ottenere la nomination chi aveva ottenuto delegati – anche non la maggioranza – in almeno cinque stati). Ron Paul fu neutralizzato.
Le regole di una convention si applicano automaticamente alla successiva, se non vengono cambiate: quindi al momento le regole della convention del 2016 saranno le stesse della convention del 2012 (e solo Trump fin qui ha vinto in otto stati). Ma appunto, le regole possono essere cambiate in qualsiasi momento. Può cambiarle il "presumptive nominee", qualora ci dovesse essere: raggiunta la maggioranza assoluta dei delegati, Trump o chi per lui a un certo punto potrebbe pretendere le chiavi della convention dal partito e cambiare le regole per essere sicuro di evitare sorprese. Se non dovesse esserci nessun "presumptive nominee", le regole sarebbero decise dal Partito Repubblicano.
Chi le decide le regole?
Una commissione che si chiama "convention rules committee", che si insedierà alla vigilia della convention. Sarà composta da 112 persone: un uomo e una donna per ognuno dei 56 stati o territori che mandano i loro delegati alla convention. Queste persone vengono scelte alle convention statali, quelle di cui parlavamo prima, quindi non è detto che la composizione della commissione rifletta l'esito del voto. E i candidati con gli staff più scafati – di nuovo, su tutti Ted Cruz – tenteranno di fare il pienone ai danni di Trump. Se si dovesse arrivare alla convention con un "presumptive nominee", i suoi poteri di supervisione della convention impedirebbero alla commissione di prendere decisioni senza il suo consenso (anzi avverrebbe il contrario: la commissione prenderebbe le decisioni richieste dal "presumptive nominee", a meno di clamorose ribellioni anti-Trump). Se si dovesse arrivare alla convention senza un "presumptive nominee", la commissione deciderebbe autonomamente le regole. Insomma, in entrambi i casi conosceremo davvero le regole della convention solo all’inizio della convention.
L'ultima contested convention, anno 1976. Ronald Reagan perde da Gerald Ford. Poi rivolge questo discorso improvvisato alla platea e i delegati forse pensano: abbiamo nominato quello sbagliato.
Cosa può succedere?
In sintesi, di tutto. Innanzitutto delle nuove regole potrebbero rendere particolarmente complicato per uno o più candidati ottenere i voti dei delegati: e potrebbero essere approvate su misura per fare lo sgambetto a Trump o a Cruz.
Poi. Dopo il primo scrutinio, quando la grandissima parte dei delegati sarebbe ancora vincolata a votare per il candidato con cui è stata eletta alle primarie, sempre più delegati sarebbero progressivamente liberi di votare chi vogliono. Anche persone che non erano candidate alle primarie. Alcuni potrebbero chiedere a Mitt Romney o Paul Ryan di candidarsi direttamente alla convention, per esempio.
Scrutinio dopo scrutinio, comincerebbero trattative serratissime in cui avrebbero peso molti fattori diversi: la capacità dei candidati di tenere sotto controllo i loro delegati per evitare che cambino cavallo; la loro possibilità di fare piccole promesse – incarichi di partito o di governo locale, per esempio, ma persino il rimborso delle spese di viaggio e soggiorno alla convention – per strappare delegati agli altri candidati; i loro rapporti con personaggi, associazioni, movimenti e sindacati in grado di muovere grandi gruppi di delegati in una volta sola. Il tutto accadrebbe in un solo posto, perché tutti i delegati, i funzionari e i candidati sarebbero lì: la Quicken Loans Arena di Cleveland, il palazzetto dove giocano i Cavs di LeBron James.
Il tutto poi sarebbe soggetto ai meccanismi politici tipici di queste situazioni. Per esempio, scrutinio dopo scrutinio avrebbe un peso vedere chi sale e chi scende: un candidato a sorpresa i cui voti vanno aumentando potrebbe avere più spinta di uno dato per favorito ma che manca di poco l'obiettivo, e comincia a perdere voti scrutinio dopo scrutinio.
Infine, tenete presente che i candidati si stanno preparando già ora per questo scenario, facendo conti e aprendo trattative con funzionari di partito in tutti gli stati. E che ci sono 40 giorni tra la fine delle primarie e l'inizio della convention: potrebbe succedere per esempio che Trump concluda le primarie mancando per un pelo la maggioranza assoluta, ma che in quei 40 giorni si assicuri il sostegno dei delegati che gli mancano, tra quelli svincolati. D'altra parte sottrarre la nomination a un candidato che ha mancato per un pelo la maggioranza assoluta sarebbe politicamente molto rischioso, per quanto tecnicamente possibile: e il Partito Repubblicano non vorrà fare incazzare i suoi elettori e mostrarsi inaffidabile e disinteressato alla volontà popolare. Oppure sì? Che casino.
La convention del Partito Repubblicano si terrà a Cleveland dal 18 al 21 luglio. Come ogni giornalista che andrà alla convention a seguire i lavori, anche io tifo per lo scenario più caotico e incerto possibile. Una "brokered convention" è ancora molto improbabile, ma sarebbe divertentissima.
Le notizie di questa settimana, di corsa
– Jeb Bush ha dato il suo sostegno a Ted Cruz (che è ormai ufficialmente il candidato dell'establishment: robe da matti)
– Donald Trump ha vinto le primarie in Arizona, Ted Cruz ha vinto in Utah e Idaho
– Hillary Clinton ha vinto le primarie in Arizona, Bernie Sanders ha vinto in Utah e Idaho
– il 26 marzo i Democratici votano in Alaska, alle Hawaii e nello stato di Washington (che assegna parecchi delegati, e dove Sanders potrebbe andar bene)
Il muro di Donald Trump, spiegato bene
Non vi perdete questo video.

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