59 giorni alle elezioni statunitensi
–16 giorni al primo dibattito televisivo tra Clinton e Trump

Questa settimana è successa una cosa esemplare di un aspetto importante di questa campagna elettorale. Uno dei due candidati è stato messo in difficoltà dalla sua fondazione di beneficienza.

La storia è questa: nel 2013 il procuratore generale della Florida stava valutando l'ipotesi di aprire un'indagine giudiziaria legata al candidato in questione. Dopo mesi di ipotesi e valutazioni, il procuratore generale della Florida aveva deciso di non aprire nessuna inchiesta. Questa settimana è venuto fuori che quattro giorni prima di annunciare la sua decisione, il procuratore aveva telefonato al candidato e gli aveva chiesto una donazione per la sua campagna elettorale (negli Stati Uniti i pm vengono eletti). Ed è venuto fuori che quattro giorni dopo l'annuncio del procuratore che non ci sarebbe stata nessuna inchiesta, il candidato ha effettivamente donato 25.000 dollari al procuratore: peggio ancora, non l'ha fatto personalmente ma attraverso la sua fondazione benefica, mascherandolo nei bilanci perché le fondazioni benefiche non possono fare donazioni politiche. Quando l'agenzia delle entrate se n'è accorta, gli ha imposto una multa.

È uno scandaletto mica male, no? Probabilmente non ne avete sentito parlare. E probabilmente avete capito che il candidato di cui si parla non è Hillary Clinton ma é Donald Trump.

La storia è vera, così come ve l'ho raccontata: la procuratrice in questione è Pam Biondi della Florida, il caso è quello legato alle truffe della Trump University. Ed è una storia che da sola è cento volte più grande e più grave di quelle che sono venute fuori riguardo la fondazione Clinton: è una storia, per cominciare. Riguarda cose che sono effettivamente successe, assegni che sono stati effettivamente staccati, inchieste che non sono state aperte, invece che basarsi semplicemente su domande aperte e teoriche su quanto chi faceva una donazione ai Clinton voleva farseli amici.

Se non ne avete sentito parlare, non è per un qualche complotto dei giornalisti ma per un meccanismo che si è consolidato in questa campagna elettorale, e di cui Trump è stato bravo ad avvantaggiarsi. Il fatto che gli elettori si fidino pochissimo di Hillary Clinton, il fatto che sia stata coinvolta negli anni in un discreto numero di scandali e storie sgradevoli, ha reso i media attentissimi e abilissimi a scandagliarne la vita e gli affari, e a riportarne elementi e dettagli in modo da enfatizzare punti di vista scettici e diffidenti: e se poi non emerge di concreto, come è stato per le email o per la Clinton Foundation fin qui, rimangono "dubbi", "questioni di opportunità", "scarsa trasparenza", "opacità" e cose del genere. 

Trump ha usato a suo vantaggio il meccanismo opposto. Da mesi dimostra di essere capace di dire qualsiasi cosa e insultare chiunque, persino le madri dei soldati morti. È stato accusato – sia in tribunale che fuori – di reati gravi, di truffe, di corruzione, di bancarotte fraudolente: niente che abbia mai lontanamente sfiorato Hillary Clinton. Si è messo in imbarazzo in cento e uno modi diversi. Tutto questo probabilmente alla fine gli farà perdere le elezioni, non è che non conti: ma intanto ha abbassato l'asticella. Su questo fronte, gioca in discesa. Trump va in Messico, legge un discorso da un gobbo e torna in America? I giornali scrivono: beh, che colpo da maestro. Quanto è stato serio e presidenziale a non prendere a pizze in faccia il presidente del Messico e non sputare in un occhio a un messicano a caso per strada. Trump trucca il bilancio della sua fondazione per dare dei soldi alla procuratrice che non l'ha indagato? Non importa. Nessuno è davvero sorpreso. Trump stesso ha rivendicato più volte di avere usato i suoi soldi per far sì che i politici gli dessero una mano.

Trump ha abbassato l'asticella così tanto che, per esempio, al dibattito televisivo del 26 settembre gli basterà non sbroccare per dire: ho vinto io. Clinton invece ha davanti a sé un'asticella così alta che le servirà probabilmente una vittoria per KO per convincere la stampa e l'opinione pubblica che ha vinto. Questo meccanismo generale ha orientato molti pezzi di questa campagna elettorale e così sarà per i prossimi due mesi.
 
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È uscita la nona puntata del podcast sulle elezioni americane! Parla del tema politico più importante e probabilmente decisivo di questa campagna elettorale: si ascolta qui su iTunes e qui su Spreaker. Commenti, critiche, consigli e recensioni sono sempre benvenuti.

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Prima di andare avanti, poi, un po' di date: sabato 17 settembre alle 15.15 a Spotorno farò un breve discorso sulla newsletter e il lavoro di questi mesi, durante il festival di giornalismo Spotorno Subito (domenica 18 settembre alle 12 riceverò insieme a Mattia Feltri il premio giornalistico assegnato ogni anno dal festival, e grazie ancora); martedì 20 settembre parlerò di elezioni americane a Parma; giovedì 22 settembre a Livorno; mercoledì 28 settembre a Roma. Per i dettagli seguite i link; se non ci sono i link vuol dire che i dettagli arriveranno presto, qui nella newsletter o sulla mia pagina Facebook.

Hillary Clinton su Humans of New York. Se la storia sul doppio standard tra Clinton e Trump vi interessa, o vi interessa cosa cambia se fai politica e sei una donna, leggetelo.

Per il resto, questa è stata una di quelle settimane in cui a un certo punto salta fuori un sondaggio tra cento secondo cui Trump è in vantaggio su Clinton, e i media italiani impazziscono: il risultato di un singolo sondaggio di CNN che vede Trump a +2 è finito in apertura sui siti di news e persino nei telegiornali della sera. Questa cosa era già successa con i sondaggi successivi alla convention di Cleveland, vi ricordate? Trump vincerà! Il mondo sta per finire! 

Ora, non starò qui a rifarvi il pippone sul fatto che 1) un singolo sondaggio da solo non vuol dire niente, bisogna guardare le medie (se non credete a me, leggete Bloomberg) 2) i sondaggi nazionali sono indicatori dell'aria che tira ma le elezioni si decidono stato per stato. Sono cose che a questo punto sapete benissimo, ne parlavamo solo la settimana scorsa. Né è il caso di spiegare qui perché un pezzo significativo della stampa italiana tende ad approfittare di ogni occasione per urlare, per scrivere SHOCK, PAURA, CLAMOROSO: sarebbe un argomento da un'altra newsletter.

Cerchiamo di capire invece cosa sta succedendo. Lo dicevamo anche la settimana scorsa, e questa settimana la tendenza si è accentuata: Trump sta riducendo il suo svantaggio nazionale. Non ha superato Clinton, come dice il sondaggio CNN, ma Clinton un mese fa aveva otto punti di vantaggio e oggi ne ha meno di tre. Meno di tre punti in generale sono un buon vantaggio: tenete conto che nel 2012 alla fine Obama vinse di quattro punti sul piano nazionale, e fu una vittoria nettissima. Ma la cosa preoccupante è la tendenza: Trump sta rimontando e non si è ancora fermato.



Cosa sta succedendo invece nei singoli stati? Per via del funzionamento del sistema elettorale americano, infatti, non c'è alcuna differenza tra vincere in Texas con il 99 per cento dei voti o vincere in Texas con il 51 per cento, quindi movimenti di elettori anche significativi e di impatto sul piano nazionale possono spostare poco o niente degli equilibri della corsa. Le cose che bisogna capire sono: chi sono questi elettori che hanno cambiato idea? In che stato votano? E poi, ma questa è più difficile: perché hanno cambiato idea? I dati dicono che in Pennsylvania, in New Hampshire, in Iowa e in North Carolina non è cambiato granché, mentre Trump sta guadagnando terreno in Florida, in Ohio e qualcosina anche in Virginia.

Nel frattempo questa settimana un grande e meticoloso sondaggio del Washington Post ha detto che Trump sta andando meglio di quanto si pensi nel Midwest, regione in cui da mesi si pensa possa essere più competitivo, e peggio di quanto si pensi nel sud, tanto che Clinton sarebbe avanti addirittura in Texas e in Mississippi, e molto vicina in Arizona.



Cosa ne concludiamo. Clinton è ancora in netto vantaggio ma ha bisogno di fermare la tendenza, cioè ha bisogno che la rimonta di Trump si interrompa il prima possibile. Anche perché tra due settimane ci sarà il primo dibattito televisivo: se Trump dovesse arrivare al confronto dopo aver rosicchiato ancora qualche punto, e magari cavarsela molto bene al dibattito, a quel punto un vero sorpasso potrebbe diventare realistico (e i media non vedono l'ora di poter raccontare una gara too close to call, come scriveva Jon Favreau un mese fa in questo articolo profetico). Se volete approfondire ulteriormente cosa dicono i sondaggi a questo punto della campagna elettorale, vi consiglio due articoli: questo in italiano di Lorenzo Pregliasco su YouTrend e questo in inglese di Nate Silver su FiveThirtyEight.

Qualche altra notizia, prima di salutarci:

– Il Dallas Morning News, importante quotidiano del Texas, per la prima volta in 75 anni ha deciso di sostenere un candidato Democratico alla presidenza, cioè Hillary Clinton. Gli endorsement dei giornali non spostano un voto, ma l'articolo con cui spiegano questa decisione è comunque una lettura interessante.

– il comitato elettorale dei Repubblicani al Senato ha raccolto 42 milioni di dollari in donazioni elettorali durante il mese di agosto. È una cifra enorme per gli standard di questo periodo e per questo genere di comitati, e vuol dire due cose: che i ricchi finanziatori Repubblicani stanno preferendo investire i loro soldi per conservare il vantaggio dei Repubblicani al Senato, invece che puntarli su Trump; che per i Democratici non sarà affatto una passeggiata riprendersi la maggioranza.

– Gary Johnson, il candidato del Partito Libertario, si è messo in grosso imbarazzo quando durante un'intervista televisiva ha detto di non sapere cosa sia Aleppo. Va bene essere isolazionisti, però ecco.

– Hillary Clinton ha tenuto una conferenza stampa, ed è una notizia: è stata la prima dopo più di 270 giorni, e l'ultima era andata malissimo. Questa invece è stata molto tranquilla, tanto che per i giornali la notizia è stata la conferenza stampa in sé, piuttosto che le cose che ha detto.

– Donald Trump ha dato un'intervista a Russia Today, la tv di propaganda del governo russo, e ha detto tra le altre cose che secondo lui è «molto improbabile» che gli attacchi informatici contro Hillary Clinton e i Democratici siano stati ordinati dal governo russo. «Magari sono i Democratici a esserselo inventato, chi lo sa».

– in quanto candidato alla presidenza, Donald Trump e il suo staff ricevono periodicamente dei briefing dalla CIA sulla situazione internazionale e la sicurezza del paese. Tutto super mega riservatissimo, ovviamente, solo che Trump dopo uno di questi briefing è andato dai giornalisti e ha detto che dal linguaggio del corpo degli agenti era evidente che non fossero d'accordo con le politiche di Obama. Trump gioca facile, perché per ragioni professionali ovviamente gli agenti in questione non possono rispondere né commentare, anche se è trapelato sui giornali il fatto che, diciamo così, siano incazzati con Trump come delle iene. Sembra che peraltro durante il briefing Chris Christie abbia dovuto calmare l'ex generale Michael Flynn, oggi consulente di Trump, che faceva domande e interveniva in continuazione.

– con un certo perfido tempismo, la biblioteca presidenziale di Bill Clinton ha diffuso dieci fotografie, tratte dai suoi archivi, che mostrano l'ex presidente in circostanze molto amichevoli e cordiali con Donald Trump. Ci sono delle perle.



– Ho preso i biglietti, quindi è ufficiale: vado in Iowa dal 16 al 22 ottobre. Più avanti vi racconto perché proprio in Iowa.

Ciao!
 
Questa newsletter vi arriva grazie al contributo di Otto e della Fondazione De Gasperi.

Cose da leggere
Hillary Clinton Gets Gored, di Paul Krugman sul New York Times
Longtime Listener, First-Time Candidate, di Jon Favreau su The Ringer
9/11 tapes reveal raw and emotional Hillary Clinton, di Ed Pilkington e Andrea Bernstein sul Guardian

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Francesco Costa · Portello · Milano, Italia 20149 · Italy